GIULIO TARRO

Bioetica e vaccinazioni

Relazione al Convegno Bioetica e scelta terapeutica

Aula Magna della Regione Emilia Romagna ,Bologna, 13 aprile 1996

 

Una riflessione sulle implicazioni bioetiche delle vaccinazioni non può prescindere da una, se pur breve, disamina degli aspetti medici, storici, matematici dell’immunoprofilassi. Va da sé che questo dibattito trova oggi particolarmente attenta l’opinione pubblica, frastornata da polemiche, spesso pretestuose, che conquistano le prime pagine dei giornali. Da un lato vi sono coloro che sono stati definiti da non pochi giornali “i crociati del fronte antivaccino”: settori del movimento antivivisezionista, omeopati, associazioni di famiglie che hanno avuto i loro cari rovinati dalle complicanze delle vaccinazioni... che in nome di una presunta crisi dei paradigmi scientifici arrivano a teorizzare una medicina “non farmacologica”; sull’altro “fronte” vi è una parte del mondo medico, veementemente sostenuta da alcune multinazionali farmaceutiche, che pretenderebbe di affidare all’immunoprofilassi la sconfitta di ogni malattia infettiva. Tra queste due posizioni ve n'è un’altra che, pur non negando l'efficacia delle singole vaccinazioni, contesta l'obbligatorietà stabilita dalla legge italiana per alcune di esse, richiamandosi all'esempio dei paesi anglosassoni.

Ma al di là di posizioni oltranziste che, qualche volta, conquistano uno spazio sui mass media, il dibattito sulle vaccinazioni rivela profonde implicazioni etiche collegandosi con quello del diritto alla libera scelta che dovrebbe contrassegnare tutti gli interventi di tutela della salute o dell'integrità personale; un principio questo certamente giusto ma potrebbe estendersi anche al rifiuto delle leggi che puniscono come reato l'uso personale di droghe pesanti e leggere o alle norme che impongono l'uso di caschi e le cinture di sicurezza. La questione è indubbiamente avvincente. E' certamente vero che chi si procura una malattia o una lesione, indirettamente danneggia tutta la società, sul piano economico e delle relazioni tra individui ma sarebbe, comunque, pericoloso concedere allo Stato il potere paternalistico di decidere che cosa è bene o male per tutti i cittadini. Seguendo questo principio, infatti, si finirebbe per proibire le sigarette, i superalcolici, o, addirittura, razionare le ore di televisione così come fanno i genitori con i bambini.

Vi è da dire, comunque, come vedremo meglio in seguito, che l’immunoprofilassi ha una sua specificità non essendo una scelta che comporta benefici e rischi solo per chi la assume ma espone a benefici o rischi l’intera collettività. Da questo punto di vista, nel campo delle vaccinazioni solo l'obbligo può impedire che si crei una minoranza di obiettori privilegiati ai quali andrebbero tutti i vantaggi di una vaccinazione di massa, senza alcun rischio. Per di più, nel campo dell’immunoprofilassi, essendo le vaccinazioni destinate prevalentemente ai minori, la decisione non viene presa dal diretto interessato bensì dai suoi genitori, i quali, com'è noto, in uno stato di diritto, possono sempre essere esautorati, dallo Stato, dalla loro potestà quando non tutelano adeguatamente i loro figli.

Come si evince, la controversia sull’obbligatorietà o meno delle vaccinazioni rimanda a vaste considerazioni etiche e culturali ma, in Italia, questo dibattito rischia di far passare in secondo piano il grave fenomeno delle false certificazioni, che non pochi pediatri compiacenti stilano a favore dei renitenti quando non sono, addirittura, i medici stessi, che arrivano a consigliare ai genitori di non vaccinare i figli. E purtroppo non si tratta di casi sporadici se si pensa che, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in alcune regioni del meridione la percentuale dei ritardi nelle vaccinazioni supera il 50 per cento. Del resto, va detto che le inadempienze più gravi vanno a carico dello Stato. E se da un verso la stragrande maggioranza delle ASL non ha mai messo in atto un controllo incrociato tra le liste vaccinali e quelle anagrafiche, per smascherare così gli inadempienti, d’altra parte quasi niente è stato fatto per applicare compiutamente la legge 210 del 25 febbraio 1992 che, ponendo a carico dello Stato il risarcimento in caso di danni accertati, imponeva di attuare entro sei mesi dall’approvazione della legge progetti di informazione pubblica sui possibili rischi delle vaccinazioni.

 

 

 

L’”enigma” delle epidemie

Com’è noto, la vaccinazione si è imposta in Occidente grazie ai successi ottenuti da questa contro il vaiolo. In realtà non è affatto sicuro che sia stata la vaccinazione a debellare questa temibile infezione o se, invece, abbiano contribuito una serie di concause. Più in generale, ancora oggi, non esiste tra gli epidemiologi e gli infettivologi unanimità sui motivi che hanno portato alla scomparsa delle epidemie.

L’esempio più famoso di questa diatriba è data dal “mistero” che ancora oggi avvolge la scomparsa delle catastrofiche epidemie di  peste che falcidiavano in passato intere nazioni e che si sono ridotte oggi a sporadici episodi come quello registrato recentemente a Seurat in India. La peste (determinata da un bacillo, lo Yersinia pestis, che può essere veicolato, nella forma bubbonica, dalla pulce del ratto e, nella forma polmonare, dal respiro) è stata responsabile nel 1348 di una epidemia che nel giro di tre anni uccise in Europa almeno 50 milioni di persone, e si è riproposta da allora, con una periodicità di qualche decennio, nel nostro e in altri continenti provocando ecatombi. D’un tratto, comunque, la peste si affievolisce fino a scomparire del tutto. Sul perché di questa scomparsa sono state fatte molte ipotesi, nessuna, comunque, pienamente soddisfacente.

Anni fa, ad esempio, epidemiologi inglesi sostennero che la ricostruzione seguita al colossale incendio che aveva distrutto Londra nel 1666, aveva determinato l’allontanamento dello Yersinia pestis dalla capitale, essendo da allora vietati i tetti di paglia e le costruzioni in legno, tana preferenziale del Rattus rattus, ospite per eccellenza della pulce Xenopsylla cheopis, portatrice dell’infezione. In realtà questa spiegazione non regge; infatti, già dal Duecento, nelle città italiane, francesi e tedesche non si costruivano più case in legno e con i tetti in paglia. Un’altra fragile ipotesi, che pure trova ampio spazio in tutti i manuali di infettivologia è quella che vede nell’allontanamento dalle città del Rattus rattus operata dall’invasione del Rattus norvegicus (che ospita la pulce Ceratophyllus fasciatus, meno sensibile all’infezione pestosa). In realtà l'invasione del Rattus norvegicus in Europa risale al 1720, mentre già a partire dalla seconda metà del diciassettesimo secolo la peste tendeva a scomparire dal nostro continente. Ancora più evanescente è l’ipotesi secondo la quale una piccola glaciazione, avvenuta nel diciassettesimo secolo, avrebbe determinato una moria di pulci o quella secondo la quale l’abitudine di cambiarsi abito prima di coricarsi, instauratasi in Europa nel diciassettesimo secolo, avrebbe diminuito il contatto tra uomo e pulce. Ovviamente il merito della medicina nella scomparsa della peste, considerando che fino agli inizi di questo secolo si ignorava addirittura l’eziologia dell’infezione, è stato del tutto inesistente e quello che resta ancora oggi il “mistero” della scomparsa della peste, al pari dell’enigma della influenza “spagnola" (20 milioni di morti nei primi 6 mesi del 1919) dovrebbe forse spingere ad una maggiore umiltà il mondo della Scienza nei confronti delle malattie infettive.

 

La “sconfitta” del vaiolo

Ma parliamo del vaiolo, la cui scomparsa, avvenuta nel 1977, costituisce ancora oggi il più grande successo della Medicina. Le testimonianze su questa malattia si perdono nella notte dei tempi: antichissimi religioni africane, risalenti ad almeno il 3.000 a. C., avevano divinità ad esso riservate; in India, dove si credeva che la dea Shitala Mata possedesse il dono di proteggere i malati di questo morbo, numerosissimi templi ci testimoniano il terrore popolare per questa malattia capace di falcidiare in un mese milioni di persone lasciandone altrettante col volto sfigurato da cicatrici. Il vaiolo, nato probabilmente da una mutazione di un orthopoxvirus che da sempre è presente negli animali, possiede la sinistra capacità di trasmettersi direttamente da uomo a uomo attraverso le microscopiche goccioline emesse con la respirazione. Questo meccanismo e l`altissimo tasso di mortalità di questa infezione ha determinato disastri paragonabili solo a quelli prodotti dalla peste; nel 1727, per dirne una, morivano di vaiolo 20.000 persone a Parigi, 65.000 a Napoli, 58.000 a Berlino 58.000 a Londra...

Il vaiolo cominciava con una febbre seguita da brividi, atroci dolori nella regione sacro lombare, nausea e tachicardia; comparivano a questo punto le tristemente famose eruzioni esantematiche, localizzate soprattutto al collo e alle mani che si trasformavano ben presto in vescicole dure che davano origine a pustole nerastre; era il “vaiolo nero" o “emorragico” la forma peggiore del morbo che conduceva inevitabilmente alla morte. Nei casi “benigni”, invece, le vescicole si ricoprivano di croste destinate a trasformarsi in deturpanti cicatrici. Nessun farmaco riusciva e riesce ad arrestare questa infezione, I'unico rimedio restava e resta tuttora la vaccinazione, una tecnica conosciuta da millenni tra le popolazioni asiatiche e importata in Europa, nel 1714, da un medico greco, Emanuele Timoni, e successivamente, con più fortuna dal medico scozzese Edward Jenner nel 1776.

Il vaiolo, agli inizi di questo secolo, si era progressivamente estinto in Europa e nell'America del Nord continuando comunque a manifestarsi nel resto del mondo. Nel 1958 durante una riunione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Victor Shadnov, vice ministro della Sanità dell’Unione Sovietica, propose, con gran battage pubblicitario, una campagna di eradicamento totale del vaiolo su tutto il pianeta da realizzarsi con una vaccinazione capillare condotta fin nei più sperduti villaggi. Probabilmente non era solo il senso umanitario a spingere Shadnov a profferire una simile proposta; anni prima gli Stati Uniti avevano proposto di eradicare la malaria dal nostro pianeta, iniziativa che si era tradotta in una campagna di sterminio delle zanzare subito fallita; se la “campagna vaiolo” avesse avuto successo, quindi, l'Unione Sovietica avrebbe potuto propagandare la scomparsa del morbo come un’ennesima “vittoria del socialismo”. Nonostante queste strumentalizzazioni che già venivano propagandate sui mass media legati al Cremlino, la “campagna vaiolo” partì con l'entusiasmo di tutti i paesi. Nel 1976 la vaccinazione aveva coperto tutta la popolazione mondiale e nella città di Merca in Somalia fu registrato il nome di colui che doveva essere l’ultima vittima del vaiolo: Ali Maow Maalin, un cuoco di 23 anni. Per un anno il mondo scientifico stette con il fiato sospeso in attesa di nuovi casi di vaiolo e nonostante l'Organizzazione Mondiale della Sanità garantisse un premio di 30.000 dollari a chiunque avesse segnalato un nuovo caso, il vaiolo risultava scomparso. Finalmente, il 9 dicembre 1977, tra entusiasmi e festeggiamenti, l'Organizzazione Mondiale della Sanità certificò la scomparsa del vaiolo dalla faccia della Terra.

Nonostante gli entusiasmi suscitati, per le particolari condizioni che 1'hanno resa possibile, la storia dell'eradicazione del vaiolo non può, comunque, ritenersi paradigmatica per le altre malattie infettive, come sta peraltro dimostrando il caso della poliomielite, che nel 1988 1'OMS aveva dichiarato eradicabile, lanciando un programma da condurre in porto nell'anno 2000 e che, invece, è ben presto naufragato tra insuccessi e polemiche. Uno sguardo più ravvicinato alla situazione epidemiologica e medico‑biologica della poliomielite accredita, tra l’altro una situazione paradossale: sono circa 200‑300 mila ogni anno i casi di questa infezione (la stragrande maggioranza tra bambini sotto i tredici anni) nei paesi dell'Asia meridionale e dell'Africa subsahariana che conoscono una vaccinazione di massa, mentre la poliomielite risulta una eccezione nei paesi a capitalismo avanzato nei quali la vaccinazione antipolio viene comunemente rifiutata.

Ma torniamo all'eradicazione del vaiolo. Più delle intenzioni dell'uomo, furono alcuni eventi accidentali collegati alle caratteristiche biologiche e cliniche di questa malattia a far sì che essa abbia potuto essere eliminata. Dal punto di vista della storia naturale della vaccinazione antivaiolosa, l'evento più importante sembra, infatti, non sia stata né l'esperienza di Edward Jenner, né le successive migliorie tecnologiche nella preparazione del vaccino. Si sa per certo che intorno al 1800 mentre William Woodville, che si considerava il vero scopritore dell'effetto protettivo del cowpox e andava infangando la fama di Jenner, vaccinava allo Smallpox Hospital di Londra in pieno ambiente vaioloso si ebbe una contaminazione dei ceppi di vaccino con vaiolo umano, che provocò numerosi casi di vaiolo in coloro che venivano vaccinati. Molto probabilmente, in quella situazione si verificò anche una ricombinazione genetica fra il virus del vaiolo umano e quello del vaiolo vaccino con la comparsa di una nuova specie virale. Ed è questa la spiegazione più plausibile del fatto che, come risultò chiaramente nel 1939, i ceppi utilizzati per la vaccinazione erano diversi dai ceppi di cowpox. Peraltro il virus vaccino è più simile geneticamente al virus del vaiolo umano che al cowpox, il che confuterebbe la spiegazione alternativa di una mutazione spontanea e spiegherebbe la sua eccezionale e costante efficacia nell'indurre l'immunizzazione.

Le implicazioni che alcuni storici della medicina hanno ricavato da questa scoperta è che la vaccinazione in senso jenneriano non ha svolto alcun ruolo nella riduzione delle epidemie e che il ruolo più importante l'ha giuocato la vaiolizzazione; è quindi probabile che il cowpox inizialmente inoculato da Jenner scomparve quasi subito ed ebbe l'unica funzione di dare inizio e far accettare una pratica sanitaria. Del resto, le cronache sanitarie del secolo scorso riportano numerosi casi di vaiolo conseguenti alla vaccinazione e i movimenti contro la vaccinazione non avevano difficoltà a mettere in luce i rischi collegati a questa pratica. A parte gli avanzamenti nelle tecniche che a partire dal vaccino glicerinato introdotto nel 1850 in Gran Bretagna, fino allo sviluppo nel 1935 di un metodo di liofilizzazione, che si rivelarono di fondamentale importanza per facilitare la preparazione e la conservazione dei vaccini e consentirne l'uso nei paesi tropicali, furono soprattutto una serie di condizioni medico‑biologiche e una particolare strategia epidemiologica a rendere possibile l'eradicazione del vaiolo. In primo luogo benché il vaiolo fosse una malattia grave e molto contagiosa, era facilmente diagnosticabile e presentava molto raramente casi subclinici. Inoltre il virus, che non aveva un tasso di mutazione elevato, non rimaneva nell'organismo, provocando uno stato di infezione latente, dopo la scomparsa dei sintomi clinici. Infine, mancavano quasi del tutto serbatoi virali in ospiti non umani.

Ma l’innegabile assenza di casi di vaiolo umani negli ultimi decenni non significa che questa malattia sia da considerare un capitolo definitivamente chiuso della storia dell’umanità. Esistono, infatti, diverse specie di poxvirus animali che, seppure limitatamente, sono patogeni anche per l’uomo. Finora gran parte di queste infezioni erano in passato controllate dalla vaccinazione antivaiolosa ma, in un prossimo futuro, potrebbero causare gravi problemi sanitari con forme di “vaiolo” atipiche, soprattutto in considerazione della per essi allettante nicchia ecologica costituita da cinque miliardi di esseri umani.

 

La paura delle vaccinazioni

Sin dai loro esordi, le campagne di vaccinazione rivelarono una circostanza che pose non pochi problemi etici e, addirittura, di ordine pubblico. Come vedremo meglio in seguito, una qualsiasi vaccinazione per potere proteggere una comunità deve interessare una grande percentuale degli individui che la compongono; in taluni casi, comunque, il vaccino può provocare gravi effetti sulla salute delle persone sottoposte alla vaccinazione. Va da sé che i progressi nella preparazione dei vaccini hanno progressivamente ridotto questo rischio, che oggi appare estremamente ridotto anche se non del tutto irrilevante. Non così ai tempi di Edward Jenner.

I1 14 maggio 1796, Edward Jenner inoculava il vaiolo delle vacche del Gloucester al piccolo James Phipps. L’intuizione del giovane medico doveva rivelarsi feconda di sviluppi. Egli aveva osservato che l'inoculazione del pus prelevato da individui affetti da vaiolo dei bovini, o vaccino, poteva produrre l'immunizzazione contro il vaiolo umano senza gli effetti a volte letali conseguenti alla pratica, allora diffusa, dell'inoculazione di pus di vaiolo umano. Un paio di giorni dopo, quindi, infettò il bambino con pus di vaiolo umano senza che questo facesse sviluppare la temibile infezione. Nel 1798 pubblicò i risultati di questo e altri esperimenti nel volumetto An Inquiry into the Causes and Effects of the Variolae Vaccinae  che segna la nascita dell’immunoprofilassi. Nel giro di qualche decennio la pratica della vaccinazione, grazie anche alla pubblicità datale da alcuni membri della famiglia reale che si sottoposero al vaccino, cominciò a diffondersi in tutta la Gran Bretagna, trasformandosi ben presto in una legge del 1871 che ne prevedeva l’obbligatorietà.

Di pari passo, soprattutto con l’allungarsi della lista dei morti tra le persone sottoposte a vaccinazione, si estese un forte movimento di protesta. Nel 1880 fu fondata la “Lega internazionale degli antivaccinatori” che forte del motto «chi sta bene non ha bisogno del medico» e contrapponendo alla vaccinazione non meglio precisate misure di “isolamento e disinfezione” per sconfiggere il vaiolo, cementò un fronte compatto di “abolizionisti”. Come sempre in questi casi fu l’emotività del momento a dettare le leggi. Nel 1892, con la riduzione progressiva delle epidemie di vaiolo e le piazze piene di manifestanti che osannavano come martiri quei genitori incarcerati per aver rifiutato di vaccinare i propri figli, il governo inglese fu costretto a proporre alla Camera dei Comuni una legge che aboliva l’obbligo alla vaccinazione antivaiolosa. Nel 1892, il grafico dei casi di vaiolo che aveva fino a quel momento dimostrato una netta discesa, conobbe una impennata uccidendo 501 persone. Ma fu nella città di Leicester, epicentro del movimento abolizionista (solo il 2 per cento dei bambini era stato vaccinato), che il vaiolo produsse stragi: nel 1893 ben 146 bambini morirono vittima dell’infezione. Ancora peggio nella città di Gloucester dove, su una popolazione di 41.000 persone risultavano vaccinati soltanto 34 bambini: nel 1895 un’epidemia di vaiolo colpiva 2.000 persone uccidendone 434. Ma furono i bambini al di sotto dei dieci anni a pagare il tributo più pesante alla malattia. In 700 la contrassero con una mortalità spaventosa del 41% (290 decessi). Con le cataste di morti per vaiolo che riempivano i cimiteri il movimento abolizionista era allo sbando; la popolazione ne assaltava le sedi pretendo subito una vaccinazione di massa. Nel giro di qualche settimana furono eseguite 35.908 vaccinazioni e rivaccinazioni che fermarono l'epidemia dilagante.

Svaporati i clamori di Gloucester, il diradamento dei casi di vaiolo in Inghilterra (23 morti nel 1889, 16 nel 1890, 49 nel 1891) ridiedero fiato al movimento abolizionista. Il 5 agosto 1898, la Camera dei Comuni approvò l'inserzione nella legge sul vaccino di un articolo che esonerava dall'obbligo chiunque dichiarasse, davanti ai magistrati, che la sua coscienza gli vietava di far vaccinare i figli. Nei cinque mesi seguenti, furono rilasciati 203.414 certificati per obiezione di coscienza, su un totale di 230.147 nascite. Gli abolizionisti ebbero di che pavoneggiarsi. Ma ancora nel 1900 in Inghilterra si registravano 3.200 casi mortali di vaiolo.

I primi decenni di questo secolo vedono un netto arretramento dell’incidenza delle malattie infettive tra le cause di mortalità, determinato sostanzialmente dal miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e da fondamentali scoperte nel campo microbiologico; di pari passo l’affinamento dei metodi per la produzione dei vaccini diminuisce la tossicità di questi e quindi il rischio di gravi complicanze o addirittura di morte tra gli individui sottoposti a vaccinazione. Dal punto di vista statistico, quindi, il rapporto rischi-benefici della vaccinazione resta sostanzialmente immutato rispetto a quello che si registrava ai tempi di Jenner. L’affermarsi di una nuova disciplina, l’epidemiologia, permette, comunque di definire i modelli matematici che regolano l’estendersi di particolari infezioni e, quindi, le strategie di vaccinazione da porre in essere per arginarle o, addirittura, eradicarle. Questi modelli si basano sul «principio dell'azione di massa», per cui il tasso di propagazione di una malattia infettiva è proporzionale al prodotto della densità degli individui suscettibili per la densità degli individui infetti. Il secondo concetto, dimostrato matematicamente nel 1927, è che l'introduzione di un individuo infetto in una comunità di persone suscettibili non darà luogo a un'esplosione epidemica a meno che la densità di questi ultimi non superi un certo va­lore critico. Negli anni sessan­ta diversi studi mostrarono quindi che esiste una soglia di densità assoluta della popola­zione perché una malattia infettiva possa mantenersi in un'isola o in una comunità cit­tadina. Per il morbillo, per esempio, è necessaria una po­polazione di circa mezzo milione di perso­ne. Affinando i metodi di indagine sulla dinamica all'interno delle popolazioni delle malat­tie infettive, si è arrivati a de­finire il tasso di riproduzione dell'infezione che, per la mag­gior parte delle infezioni da microparassiti, è la media dei casi secondari prodotti da un caso primario in una popola­zione suscettibile. Perché una malattia infettiva si mantenga e si diffonda in una popolazio­ne questo tasso deve essere superiore a 1 e per ridurre o eradicare un'infezio­ne bisogna portare il tasso di ripro­duzione al di sotto dell'unità, attraverso una campagna di vaccinazione. Ov­viamente, più alto è in parten­za il tasso, più difficile sarà eradicare l'infezione o, in altri termini, per eliminare l'infe­zione deve essere più grande la proporzione degli individui immunizzati. Secondo questi calcoli, l'e­radicazione del vaiolo fu più facile in quanto il tasso di ri­produzione dell'infezione era fra 2 e 4. Mentre per il morbil­lo, in cui il tasso va da 10 a 20, la copertura immunitaria per bloccare la trasmissione deve raggiungere il 92‑95 per cento della popolazione e per la malaria sembra che la co­pertura debba essere anche superiore. Il risultato teorico più interessante scaturito da questi modelli è che non è necessario vaccinare il 100 per cento della popolazione per eradicare un'infezione. Infatti, l'immunizzazione ha sia un effetto diretto sia un effetto indiretto. L'effetto diretto è proteggere chi è stato immu­nizzato con successo. Ma dal punto di vista dell'infezione la popolazione ospite diventa via via più piccola e la trasmissio­ne parallelamente diventa me­no efficace. Ne consegue che la densità effettiva della popolazio­ne di ospiti cadrà al di sotto della soglia e l'infezione non sa­rà in grado di mantenersi a un livello di copertura più o meno vicino al 100 per cento.

Attualmente i vaccini hanno raggiunto un soddisfacente livello di sicurezza. Ne esistono diversi tipi: quelli costituiti da batteri o da virus viventi e attenuati, (esempio tipico è il vaccino per la tubercolosi, il vaccino di Sabin contro la poliomielite, il vaccino contro la febbre gialla, quello antirosolia); vaccini con microrganismi uccisi (ad esempio, il vaccino contro il tifo, la pertosse, la brucellosi, la rabbia...); quelli costituiti da anatossine, (antitetanica, antidifterica...); quelli costituiti da componenti antigenici ottenuti da batteri e quindi purificati. Quest’ultimo tipo di vaccino (quale, ad esempio quello contro la meningite, costituito dai polisaccaridi estratti dai meningococchi)  sta assumendo una crescente importanza grazie all’impiego dei moderni sistemi di purificazione.

Ma, nonostante i progressi dell’immunoprofilassi, nessuna vaccinazione è totalmente esente da rischi. Ad esempio, ancora oggi, per quanto riguarda il morbillo, ogni 3,6 milioni di dosi di vaccino erogate si ha un caso di lesioni cerebrali, mentre per la profilassi antipolio ogni 2,6 milioni di dosi si ha un caso di poliomielite associata al vaccino. Da ciò la convenienza egoistica per un individuo che tutta la popolazione sia vaccinata (riducendo quindi a zero la possibilità per egli di infettarsi) tranne lui (riducendo così a zero i rischi connessi alle vaccinazioni). Ne discende da ciò l’obbligatorietà delle vaccinazioni più importanti che contraddistingue la legislazione di moltissime nazioni.

 

La legge e l’etica

In molti paesi - tra i quali l'Italia - le vaccinazioni rientrano tra i cosiddetti trattamenti sanitari obbligatori non coattivi. Questo significa che è previsto l'obbligo per tutti i soggetti appartenenti a una determinata fascia di età di sottoporsi ad alcune vaccinazioni, ma che queste non vengono somministrate con la forza in caso di rifiuto. Non tutti i paesi scelgono questa strada per assicurarsi che l'obiettivo della diffusione della vaccinazione sia raggiunto, e ricorrono a campagne di educazione sanitaria (è cosi, tradizionalmente, in Gran Bretagna) oppure a forme di coazione indiretta, quali il divieto di accesso ai servizi scolastici o, più in generale, ai servizi erogati con finanziamento pubblico (è il caso degli Stati Uniti, dove però alcune vaccinazioni sono anche rese obbligatorie). Negli Stati Uniti la Corte suprema federale con una sentenza destinata a fare scuola nel resto del mondo non ebbe dubbi nel risolvere la controversia promossa da coloro che contestavano, in nome della libertà individuale e del diritto del singolo all'autodeterminazione, la legittimità dell'imposizione della vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo, con tutti i rischi a essa connessi, osservando che tali «rischi erano troppo ridotti per poter essere seriamente presi in considerazione a fronte dei benefici prodotti sulla collettività». La ratifica dell’obbligatorietà rimandava, comunque, al risarcimento dei danni prodotti dalla vaccinazione. La questione si pose clamorosamente nel 1968 quando una Corte di appello federale degli Stati Uniti condannava per la prima volta il produttore di un vaccino antipolio a risarcire un soggetto, obbligatoriamente vaccinato, che aveva contratto la poliomielite, in quanto quest'ultimo non era stato debitamente avvertito del rischio derivante dall'assunzione del vaccino. Questa sentenza ha avuto effetti dirompenti in quanto ha portato alla crescita esponenziale delle richieste di risarcimento. Nel 1982, una campagna di vaccinazione obbligatoria contro una influenza particolarmente pericolosa, ha comportato oltre 4000 controversie giudiziarie, con una domanda di risarcimento nei confronti dei produttori di vaccini pari a 3 miliardi di dollari. Questo ha portato all’impossibilità di reperire un numero adeguato di produttori di farmaci che acconsentissero a produrre vaccini, anche perché le compagnie di assicurazione rifiutavano di tutelare le case produttrici se non richiedendo premi esorbitanti. Nel 1985, dei dieci produttori di vaccini presenti sul mercato quindici anni prima ne restavano soltanto tre. Anche la ricerca scientifica nel settore risultava in netta diminuzione, essendo stati dirottati gli investimenti in altri campi malgrado il mercato delle vaccinazioni negli Stati Uniti valga, secondo stime ufficiali, oltre 500 milioni di dollari all'anno. La risposta legislativa al pericolo sanitario e pubblico provocato da questa situazione, è stata quella di un difficoltoso ritorno al passato, e quindi a escludere risarcimenti di danni, oppure ad addossare l'obbligo di risarcimento allo Stato (previsto per la prima volta in una legge del 1976 - il Swine Flu Act). Una strada, quest'ultima, già seguita da molti paesi europei (dal 1963 la Germania e dal 1964 la Francia) ai quali si è aggiunta anche l'Italia, con la legge 210 del 25 febbraio 1992.

Nel nostro paese, il Piano sanitario nazionale per il triennio 1994-96 prevede due ”progetti obiettivo”: tutela materno infantile e tutela della salute degli anziani. Nel primo progetto è specificatamente previsto la generalizzazione delle vaccinazioni antimorbillo, antirosolia, antiparotite, antipertosse, nel secondo progetto, la generalizzazione della vaccinazione antinfluenzale per gli anziani ultrasessantacinquenni. Oltre a queste, in Italia esistono particolari categorie di lavoratori per le quali sono obbligatorie determinate vaccinazioni (ad es. l’antimeningococcica per i militari di leva, l’antitetanica per i fantini e gli addetti alla N.U. , antitifoparatifica per gli addetti alla manipolazione e produzione di alimenti...) mentre da qualche anno è diventata obbligatoria per tutti i soggetti al di sotto di dodici anni la vaccinazione antiepatite B. Ed è stata proprio l’obbligatorietà di quest’ultima vaccinazione ha suscitare le più vive polemiche e in effetti il rischio dell’infezione da epatite B appare profondamente cambiato rispetto a qualche anno fa risultando minimizzato per la prima infanzia mentre permane elevato dopo la maturazione sessuale; in questo senso, forse più che insistere nell’obbligo (peraltro, pochissimo rispettato) per questa vaccinazione, sarebbe più opportuno sviluppare campagne di informazione sull’epatite B, il cui pericolo continua a rimanere sottovalutato in vasti strati di popolazione.

Un caso a se è poi quello costituito dalla crescente presenza in Italia di immigrati, provenienti da aree caratterizzate da gravi endemie, e che, in gran parte, non possono usufruire del Sistema sanitario nazionale. Ovviamente non si tratta di chiudere le nostre frontiere in nome di una possibile minaccia epidemica (tra l’altro, se si adottasse questo principio, si dovrebbe impedire l’accesso ai cittadini statunitensi o svizzeri tra i quali si registra un’altissima incidenza del virus HIV) ma di sviluppare anche tra questi soggetti screening che potrebbero portare alla obbligatorietà di alcune vaccinazioni. Già questo è stato imposto nel 1995 con una circolare del Ministero della Sanità che obbliga tutti i bambini stranieri presenti in Italia ad essere vaccinati contro la poliomielite, l’epatite B, il tetano e la difterite. Un aspetto controverso ma, dal nostro punto di vista, positivo di questa circolare è l’estensione dell’obbligo e della gratuità delle vaccinazioni anche per quei minori irregolarmente presenti in Italia e quindi non iscritti al Servizio sanitario nazionale.

Avviandoci verso la fine di questo breve documento diventa doveroso trarre alcune considerazioni che, stante il vivace dibattito in atto sulle vaccinazioni non vogliono certo avere la valenza di conclusioni ma sottolineare alcuni punti. Il primo è che oggi l’attenuarsi dell’incidenza delle malattie infettive nel nostro paese rischia di favorire un certa snobistica “presa di distanza” dalle vaccinazioni, viste come il retaggio di un periodo ormai definitivamente concluso. Così non è. E, se non si vuole tornare ad una visione per così dire evoluzionistica, dobbiamo superare la logica dell’automatismo della conservazione e cogliere nell’intervento vaccinale proprio la dimensione della cura della vita in tutti gli stadi e in tutte le sue forme. D’altra parte l’intervento vaccinale non deve mai perdere il suo carattere mirato per cui la vaccinazione non è un fine a se stessa ma sempre supporta il benessere della singola persona e della società a cui appartiene. Ciò significa quindi che l’intervento vaccinale ha sempre un carattere personale e individuale e una valenza sociale. Questo presupposto, il più delle volte implicito, non va dimenticato. Il senso della vaccinazione si colloca nella preoccupazione della salvaguardia del bene sociale, di fronte ad eventuali rischi epidemiologici e quindi ne discende l’intervento pubblico regolamentato da appropriate forme legislative. E anche se può sembrare marginale, credo che vada sottolineato il carattere primariamente etico-antropologico dell’intervento legislativo che solo su questa base può legiferare circa l’obbligatorietà. Ancora su questi aspetti di riflessione sul carattere di patto sociale delle vaccinazioni dobbiamo tenere in considerazione che alla dimensione dell’etica pubblica va ascritto anche il rapporto tra i rischi e i benefici che deve, comunque, collocarsi nell’ottica di attenzione della salute dell’intera collettività, vero e unico riferimento. Di certo non è possibile circoscrivere il discorso sulle vaccinazioni al solo ambito economico ma va pur detto, soprattutto in un momento come questo caratterizzato da una drastica contrazione della spesa sanitaria, che malattie prevalentemente infantili quali il morbillo, la rosolia, la parotite, la pertosse che, oltre a determinare nel nostro paese un significativo numero di vittime, comportano una spesa sanitaria annua di circa 380 miliardi potrebbero essere nettamente ridimensionate con campagne di vaccinazione da costo di trenta miliardi. Sempre restando nel campo economico, nel contesto dell’obbligatorietà, una particolare rilevanza riveste la necessità che lo stato si faccia garante del risarcimento, dove possibile non soltanto economico, per eventuali risultati negativi dovuti all’intervento vaccinale. L’esempio dei progetti per un vaccino contro l’AIDS che, soprattutto negli Stati Uniti, hanno avuto un netto ridimensionamento non appena le aziende farmaceutiche hanno paventato i costi di eventuali risarcimenti, dovrebbe far riflettere.


ALLEGATO:

Conclusioni e raccomandazioni del Comitato Nazionale per la Bioetica sui vaccini

 

1. I vaccini possono essere annoverati tra le grandi conquiste mediche e scientifiche dell'epoca moderna. Hanno infatti debellato il vaiolo e consentito la prevenzione di molte malattie, come la poliomielite, la difterite ed il tetano, che in precedenza uccidevano o rendevano invalidi milioni di persone ogni anno. Sono anche efficaci contro diverse infezioni degli animali domestici! alcune delle quali trasmissibili all'uomo. Hanno un valore terapeutico, oltre che preventivo in alcune malattie a lento decorso, come la rabbia e la tubercolosi. Aprono ulteriori ed affascinanti prospettive, via via che migliora la conoscenza del sistema immunitario, al trattamento sia delle infezioni tuttora diffuse, come la malaria e 1'AIDS, sia di altre patologie, inclusa quella tumorale. Appartengono ai farmaci naturali, quelli cioè che agiscono rispettando e valorizzando le capacità fisiologiche dell'organismo. Infine, presentano un rapporto tra costi e benefici eccezionalmente favorevole.

 2. Ciononostante, l'impiego e la ricerca dei vaccini comportano diversi inconvenienti Quello maggiormente avvertito a livello dell'opinione pubblica è la possibilità di effetti collaterali, costituiti da reazioni allergiche, reazioni neurologiche ed infezioni dovute alla virulentazione di vaccini contenenti germi vivi. Questo pericolo è stato talvolta ingigantito, fino a determinare una condizione relativamente diffusa di sospetto e rifiuto, specie nei confronti della vaccinazione della popolazione infantile: è invece minimo. soprattutto con i preparati più' recenti. ed è ampiamente controbilanciato dal rischio concreto che, in assenza di un'estesa protezione vaccinale, alcune malattie si diffondano nuovamente e colpiscano i non vaccinati con una sequenza ben più elevata di quella attuale. In definitiva' si può affermare che le malattie naturali comportano rischi ben maggiori di quelli dei vaccini. Va anche sottolineato che la messa a punto di un vaccino è un'impresa complessa, lunga, costosa e poco remunerativa, così da non consentire a chi la intraprenda di ricavarne il giusto ricavo. I produttori dei vaccini, inoltre, possono essere chiamati a rispondere degli effetti collaterali causati non da una loro negligenza; ma da eventi imprevedibili. l'industria privata' che nello sviluppo dei nuovi medicamenti ha sempre giocato un ruolo determinante e complementare a quello dei centri pubblici, non è quindi abbastanza incoraggiata al impegnarsi a fondo in questo settore. anche se ci sono segnali forti in senso opposto.

3. I vaccini sollevano anche altri problemi come quello della sperimentazione sull’animale: dei consenso informato al loro impiego medico e sperimentale degli obblighi dei genitori e tutori nei confronti di minori privi di autonomia decisionale; della possibilità di conflitti ha diritti individuali e diritti collettivi; dei farmaci orfani, che vengono abbandonati per motivi di tipo eminentemente economico Si tratta, peraltro, di problemi comuni ad altri campi della ricerca biomedica e della medicina.

4. Il primo imperativo etico è quello di assicurare sull'argomento un'informazione approfondita aggiornata, corretta e quanto più possibile completa. In particolare, i dati riguardanti gli effetti collaterali dei vaccini vanno pubblicizzati ma dando nel contempo il dovuto rilievo agli elementi necessari per interpretarne correttamente il significato. Vanno ugualmente menzionati i pareri contrari alla vaccinazione, facendo tuttavia presente l'eventuale carenza di dati scientifici a loro sostegno.

5. Una caratteristica peculiare dei vaccini e di avere un elevato valore sociale, in quanto oltre a proteggere la persona vaccinata riducono il rischio di contagio a carico della restante popolazione. Pur tenendo conto dell'obiettiva difficoltà di stabilire una chiara delimitazione tra diritti individuali e diritti collettivi, questo aspetto induce a ritenere che lo Stato abbia il dovere ed il diritto di promuovere le vaccinazioni considerate essenziali dalla comunità scientifica internazionale non solo attraverso campagne di informazione ed educazione sanitaria, ma anche con altre modalità più' incisive Alcuni paesi adottano misure coercitive indirette, consistenti nell'obbligatorietà di esibire il certificato di vaccinazione al momento dell'iscrizione scolastica. Altri propendono per un atteggiamento più articolato, considerando il rifiuto alla vaccinazione illecito, ma non perseguibile penalmente Altri ancora ritengono che questa pratica vaca imposta esplicitamente, a livello sia della popolazione infantile sia di alcune categorie professionali, pur ammettendo la possibilità di deroghe giustificate da motivi validi. Ciascuna di queste soluzioni può essere ugualmente accettabile, purché raggiunga lo scopo. I pareri contrari alla vaccinazione vanno rispettati, ma non oltre il limite al di la del quale ciò possa risultare lesivo del diritto alla tutela della propria salute da parte sia del minore sia di altri.

6. Le vaccinazioni ripropongono infine il problema generale del confronto tra due diverse concezioni della medicina quella a carattere eminentemente preventivo, che presuppone una conoscenza approfondita dei processi naturali e tende a valorizzarli per salvaguardare la salute, Più che per ripristinarla; quella a carattere riparativo, che combatte le malattie intervenendo sulle loro cause o sui loro sintomi anche con mezzi innaturali, generalmente dotati di un effetto più contingente e, potenzialmente carico di maggiori incognite. La prima è rappresentata dai vaccini. da altri medicamenti e da tutti gli interventi A carattere sanitario, inclusi quelli ambientali tendenti a migliorare le condizioni ambientali e la qualità della vita; la seconda da gran parte dei medicamenti moderni, inclusi gli stessi antibiotici. Una sensibilizzazione a questa problematica appare importante anche in vista di interventi legislativi a sostegno di una concezione della medicina che sia sempre più consona ai bisogni fondamentali dell'uomo.