Da “Rinascimento Popolare” n. 2 Marzo - Aprile 2002 di Flavio Felice

 

     ETICA ED ECONOMIA

       LA DIMENSIONE ECONOMICA DELLA      

        DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

 

Le encicliche sociali (specialmente la "Centesimus Annus") ci indicano come realizzare un'autentica economia d'impresa ovvero una economia libera di mercato.

 

Una delle ragioni che ci spinge ad intraprendere la riflessione sulla dimensione economica della Dottrina Sociale della Chiesa risiede nella constatazione che l'interpretazione dei nessi tra etica ed economia sembra costituire il percorso più originale per la comprensione, la critica e la proposizione di modelli socioeconomici in grado di rappresentare la complessità dell'agire umano.  Tale premessa, sotto il profilo squisitamente epistemologico, implica il rifiuto di qualsiasi riduzione della Dottrina Sociale a mera enunciazione di principi immutabili o a corollario della morale (S.  Lanza), mentre introduce un originale metodo di elaborazione dei materiali sociali in grado di rappresentare un termine di riferimento per l'elaborazione di un'economia per l'uomo che sappia cogliere ed interpretare il dinamismo tipico della persona: un'autentica prasseología.

In tal senso, l'etica, più che prius, un elemento preordinato o comunque separato dal momento politico ed economico, è posta in rapporto "consustanziale", alla stessa realtà economica, recuperando la nozione integrale di persona agente che contrasta con la riduzione economicista dell'homo oeconomicus; anche se riconosciamo il valore euristico e logico di questa nozione, che ci consente di costruire modelli astratti e formali cui confrontare gli squilibri e le incongruenze del mondo reale. inoltre, allo stato attuale, rileviamo che tali relazioni interdisciplinari sembrano suscitare un inedito interesse sia tra coloro che tradizionalmente si sono sempre occupati di etica, sacrificando volutamente lo studio della creazione e diffusione della prosperità, sia tra coloro i quali hanno sempre ritenuto non di loro competenza il come e si produce la ricchezza.

Il nostro auspicio è che in tal modo si possa portare il dibattito fuori dagli schemi consueti dei comportamenti illegali degli operatori economici, per cogliere le basi etiche dei principi razionali sui quali si fonda la disciplina economica. In definitiva, cogliamo l’esigenza di andare oltre la tradizionale distinzione secondo la quale l’etica indica i fini e l’economia i mezzi più appropriati per raggiungerli, e proponiamo in alternativa di ricercare i fondamenti morali in virtù dei quali si delibera la scelta dei mezzi scarsi da adottare per fini alternativi, avendo assunto come nucleo teorico di riferimento l’archetipo antropologico persona, piuttosto che la sua caricatura economicista. Il che non deve distrarci dalla consapevolezza in ordine all’esistenza di un’insanabile asimmetria logica tra desideri umani (tanto altruistici quanto egoistici) e mezzi a disposizione; asimmetria che impone al genere umano un’attenta e continua ricerca di modelli il più possibile adeguati all’imago Dei.      

Il capitale umano

Riteniamo che il passaggio decisivo verso un modello economico all’altezza della trascendente dignità della persona umana non possa prescindere dal tentativo, peraltro già in atto ed in fase piuttosto avanzata – basti pensare ai lavori di T.W. Schultz e G. Becker -, di formulare una teoria del capitale la più ampia possibile, intendendo per capitale – secondo la definizione dell’economista Giuseppe Palladino - il tempo, gli sforzi e le energie orientate al futuro, nonché i loro risultati concreti che assumono la forma di attrezzature materiali, di perfezionamento professionale, intellettuale e spirituale. Crediamo che proprio a Giovanni Paolo II vada il merito di aver contribuito al recupero della nozione di capitale, intesa come categoria logico-naturale – segnata dal carattere seminale - e non meramente storica, al centro della quale siano poste la conoscenza, l’innovazione e la capacità d’intuire e di soddisfare i bisogni dell’altro. Quindi il capitale  non è la semplice quantità dei beni materiali di una nazione impiegati nel processo produttivo, abili a rendere efficace il lavoro che finisce per essere interpretato unicamente sotto il profilo a “oggettivo”, negligendone il “valore soggettivo”. Scrive a tal proposito Giovanni Paolo II: “Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante lo spirito di sacrificio, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro (…) Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e della capacità d’iniziativa e d’imprenditorialità” (C.A., n. 32). Nel rispetto del principio di sussidiarietà, spetta alla complessa rete della società civile (dalla famiglia allo stato, passando per la scuola, per i sindacati, per le imprese e per tutte le forme in cui si esplica ed articola la vitalità dei corpi intermedi) il ruolo di scopritore ed educatore del più affascinante, produttivo e raffinato tra i fattori di produzione, il capitale umano, un complesso di virtù che Giovanni Paolo II nella Centesimus annus ha chiamato capacità di imprenditorialità. E’ una sorta di fattore Don Chisciotte che presenta qualche similitudine con la nozione di “prontezza” cara all’economista Israel Kirzner. Potremmo dire, parafrasando un’immagine suggestiva offertaci dallo stesso Kirzener, che la capacità d’imprenditorialità ci consente di vedere in mezzo all’oceano, sulla linea dell’orizzonte, il profilo tracciato dalle terre emerse, lì dove atri, per secoli, avevano visto sempre e soltanto le nuvole.

L’arte dell’economia

Sul versante del metodo, alla base di tale riflessione troviamo del metodo, alla base di tale riflessione troviamo del metodo, alla base di tale riflessione troviamo ciò che, con un certo ardire, chiameremmo personalismo metodologico, ossia l’approccio con il quale giudichiamo le multiformi istituzioni sociali a partire dalla ferma convinzione, in ordine all’intersoggettività - o reciprocità - della persona umana che ci consente di osservare l’individuo nel momento in cuoi agisce con gli altri (nel nostro caso, a differenza dell’individualismo metodologico, almeno nella versione formulata dalla corrente ortodossa neoclassica, Robinson Crosue non può prescindere dall’incontro con Venerdì). L’altro, allora, è la chiave attraverso cui possiamo dischiudere lo scrigno prezioso e segreto che è in noi e scoprire l’immenso tesoro di cui Dio ci ha fatto dono. D’altra parte - e qui la riflessione sociale cristiana incontra quella austriaca - è doveroso ricordare che il mercato, per essere tale, ossia per ben svolgere il ruolo di ordinatore delle scelte degli operatori economici, necessita di un presupposto di carattere etico: la libertà. Tale presupposto, come afferma Giovanni paolo II nella Centesimus annus, ha il merito di evidenziare l’elemento essenzialmente positivo, in quanto umano ovvero personalista, della moderna economia di mercato e che sta alla base del suddetto personalismo metodologico, un metodo che, pur riconoscendo la necessità di andare oltre i limiti dell’individualismo metodologico, non intende negarne i meriti. In primo luogo, l’individualismo metodologico, a differenza del metodo marxista ed in una certa misura anche di quello keynesiano, dove l’oggetto dell’attività economica è l’aggregato, ha avuto il merito e l’originalità di porre il soggetto dell’azione al centro dell’indagine; potremmo dire, riducendo l’azione stessa al soggetto, ossia la persona agente, la quale non è mera sostanza individuale, bensì un soggetto libero, creativo, responsabile e relazionale. Quanto allo scopo, è necessario abbattere le barrire che separano le varie scienze sociali, riconoscendo che la scienza economica, in quanto scienza umana, presenta una serie di fenomeni ed elementi di natura analitica che, certo, vanno prima individuati con tecniche adeguate, ma successivamente necessitano di essere interpretati e posti in relazione con il diritto, con la psicologia, con l’antropologia, nonché con l’imprescindibile dato storico-geografico. In tal modo, la stessa scienza economica rappresenta lo strumento sofisticato che ci introduce in una nuova e più ampia dimensione, irriducibile al formalismo positivista delle scienze naturali ed assimilabile all’architettonica arte dell’economia, non avendo a che fare con l’archetipo dell’homo oeconomicus, bensì con il più concreto homo agens. La riflessione sin qui svolta si propone di offrire gli elementi di una dottrina economica pluridimensionale, in base alla quale, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, storicizzare - per usare le parole del Santo Padre che si interroga “sul modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo che cercano la via del vero progresso economico e civile” - un’autentica ”economia d’impresa” o “economia di mercato” o, semplicemente “economia libera” (C.A. n. 42). Ossia, per riprendere anche i contenuti ed il programma economico di Luigi Sturzo, uno sviluppo economico intensivo, diffuso e stabile; caratterizzato dall’accumulazione decentrata del capitalismo (in tutte le sue dimensioni), dal ruolo delle organizzazioni sindacali impegnati affinchè gli imprenditori perseguano il reinvestimento produttivo dei loro utili e dalla lotta ai monopoli (tanto pubblici che privati), favorendo la crescita della concorrenza all’interno di un chiaro quadro normativo.