CO.AS.CA
La presidente
Agli Organi di informazione
Comunicato stampa dell’8 novembre 2006
Assemblea del Co.As.Ca.
Questione rifiuti, Corte d’Appello a
Caserta, Democrazia partecipativa sono stati i tre argomenti che hanno tenuto
banco nell’assemblea mensile del Coordinamento delle Associazioni Casertane di
martedì 7 novembre. Presenti moltissimi gruppi coordinati con i loro presidenti
o delegati in una riunione che si è protratta fino a sera inoltrata. Questa è la
città di Caserta, ha detto Mario Cozzolino del Comitato Protribunale a Caserta
di fronte a tanta qualificata e variegata partecipazione. A relazionare sul
primo punto all’ordine del giorno, rifiuti urbani, è stata la delegata del WWF,
Giovanna Ferrante Sorrentino, che ha illustrato quanto è stato fatto dal
Coordinamento su questo finora insolubile problema ed ha indicato, avvalendosi
della specificità e della professionalità del WWF, chiari percorsi da adottare
da parte delle istituzioni e dei cittadini, che non siano precari e temporanei,
ma risolutivi. Il presidente di Caserta Città Nostra Marcello Natale ha
informato come abbia già ha preso contatti con Università per un Convegno
illustrativo con docenti-esperti del settore. Il secondo punto è stato
illustrato dai responsabili del Comitato Protribunale a Caserta, Mario
Giardinetto e Mario Cozzolino, sulla base di un loro documento pubblicato dalla
stampa e sul sito del Co.As.Ca., dal titolo “Ricominciamo
da dove abbiamo lasciato. Progetto per l’istituzione della Corte di Appello”.
Si tratta di riprendere la trattativa, come hanno spiegato, la quale era
arrivata a buon punto con il parere favorevole dato dalla Commissione Giustizia
del Senato alla proposta di legge per l’istituzione nella città di Caserta della
Corte di Appello, poi interrotta per motivi politici. Un’istituzione
che prevede una serie di altri uffici nel capoluogo, quali la Procura Generale
della Repubblica, una Corte di Assise di Appello, un Tribunale di Sorveglianza,
un Tribunale per i Minorenni e Procura Minorile, una sezione della DDA di
Napoli, la Polizia Giudiziaria coordinata dalla Procura Generale, una sezione
distaccata del TAR. E ora tempo di riprendere il progetto, questa la
conclusione, che al di là di ogni altra motivazione pur legittima, può
costituire il vero deterrente per la criminalità sempre in progresso, ha
affermato il presidente della L.I.D.U. e vicepresidente Co.As.Ca Corrado Caiola.
A relazionare sul terzo punto è stato il responsabile del Comitato Democrazia
Partecipativa, Mario Mastrostefano, insieme alle due altre socie fondatrici,
Mena Moretta e Rosanna Zitelli. I cittadini non possono contare solo ogni cinque
anni, è stato detto, quando sono chiamati a votare, ma devono vivere la loro
città in maniera partecipativa. Di qui il riferimento al T.U.E.L. ( Testo Unico
Enti Locali), e la richiesta al sindaco Petteruti e al Consiglio Comunale di
istituire il question time e di curare aggiornamento del sito del Comune per un
democratico esercizio di e-democracy. Molti gli interventi su ciascuno dei tre
punti con ampiezza di riflessioni e di proposte operative, che il Consiglio
direttivo vaglierà nella sua prossima riunione fissata per il prossimo giovedì
16 dicembre per renderle operative.
Anna Giordano
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CO.AS.CA
Vi inoltro il
documento del Comitato Protribunale, oggetto discusso nell'assemblea del 7.11.06
RICOMINCIAMO DA DOVE ABBIAMO LASCIATO
(Progetto per l’istituzione della Corte di Appello)
Correva l’anno 2004. Un roseo avvenire si profilava all’ orizzonte del Comune
capoluogo e della sua Provincia. La Commissione Giustizia del Senato aveva
espresso parere favorevole alla proposta di legge intesa ad istituire la Corte
di Appello nella città di Caserta. Il progetto, presentato all’inizio della
legislatura nel 2001, prevedeva il distacco da Napoli dei territori compresi nei
circondari dei Tribunali di S. Maria C. Vetere, Benevento ed Ariano Irpino, su
cui insiste una popolazione di 1.200.000 abitanti circa, riuniti sotto la
giurisdizione di un Ufficio di grado superiore, avente sede in Caserta, senza
porsi in contrapposizione con Tribunale e Procura della Repubblica di S. Maria
C. Vetere, continuando ad esercitare quest’ultimi le proprie funzioni in ambito
circondariale.
“Il Comitato protribunale” poteva ritenersi soddisfatto per il notevole
risultato raggiunto dopo anni di battaglie e sacrifici. L’ impegno però
continuava, occorreva restare vigili, perché l’intoppo era sempre in agguato.
Localmente il Comitato continuava a lavorare in sordina e, nonostante gli
ostacoli frapposti, portava avanti i contatti con il Comune affinchè si
attivasse, nelle more dell’ approvazione finale della legge da parte del
Parlamento, a reperire i locali idonei ad accogliere la nuova prestigiosa sede
di Corte di Appello e con i rappresentanti politici affinchè seguissero l’iter
legislativo. Occorre precisare che, oltre all’ Ufficio di Corte di Appello,
inteso quale organo giudicante di grado superiore, a Caserta sarebbero stati
istituiti anche la Procura Generale della Repubblica, una Corte di Assise di
Appello, un Tribunale di Sorveglianza, un Tribunale per i Minorenni e Procura
Minorile, una sezione della DDA di Napoli, la Polizia Giudiziaria coordinata
dalla Procura Generale, una sezione distaccata del T.A.R.. Tale nuovo complesso
di Uffici avrebbe portato una notevole boccata di ossigeno all’economia
casertana, considerando le ingenti risorse strumentali, tecniche ed umane che il
Governo avrebbe dovuto destinare per la città di Caserta. Correva l’anno 2004….
Sono trascorsi appena due anni, eppure sembra passato un secolo. La legislatura
è finita. La proposta non è stata tramutata in legge. Caserta è rimasta una
città dipendente da Napoli anche per il settore giustizia. Soprattutto resta
l’unico capoluogo di Provincia senza la sede di Tribunale. Per coloro che non
conoscono il sistema organizzativo giudiziario, occorre precisare che gli
attuali uffici giudiziari ubicati in Caserta sono rappresentati da una sezione
distaccata del Tribunale di S. Maria C. Vetere e dal Giudice di Pace ( uffici di
modeste dimensioni, rispetto al disegno di una Corte d’Appello distrettuale,
comunque privi di un’ ampia autonomia gestionale).
L’amarezza di aver perso una grande occasione, ci spinge ad alcune riflessioni.
La politica non finisce mai di stupire. Si discute continuamente di “criminalità
sia organizzata che estemporanea, frutto pericoloso degli irrisolti problemi
sociali ed economici” (relazione del Procuratore Generale della Repubblica di
Napoli di qualche anno addietro). Si svolgono convegni, conferenze. Ritorna
continuamente il tema del controllo del territorio, Si discute sulla tutela dei
diritti del cittadino, delle carenze delle Forze dell’Ordine. L’occasione di
veder in parte affrontare tale problematica si è presentata nel momento in cui
la proposta di legge doveva essere votata in aula. In questa circostanza la
compattezza dei rappresentanti politici sia di maggioranza che di opposizione,
soprattutto locali, avrebbe dovuto offrire un esempio di coerenza e di monito
per il Governo. Invece, si sono fatti travolgere da polemiche e da discussioni
che hanno fatto slittare i tempi, fino a giungere al termine della legislatura.
E’ vero che, con la riforma dell’ordinamento giudiziario era prevista anche la
modifica delle circoscrizioni giudiziarie, per le quali occorreva reperire fondi
adeguati. Forse, la proposta di legge aveva un solo difetto: era stata
sponsorizzata dai rappresentanti della Cdl, contrari per motivazioni varie
quelli dei Ds, Verdi e Margherita. In precedenza, altre iniziative erano state
poste in atti dai rappresentanti del centrosinistra del tempo, ma anche tali
proposte si erano bloccate in modo insoddisfacente, in quanto arenatesi sulla
polemica: Tribunale a Caserta o Tribunale a S.Maria C.Vetere. L’attuale
Presidente della Provincia, da deputato componente della Commissione Bilancio,
era riuscito a far destinare circa due miliardi delle vecchie lire agli uffici
giudiziari di Caserta. Forse occorreva una precisazione del legislatore:
indicare con chiarezza nella legge a quali uffici erano stati destinati i fondi.
Utilizzarli per l’istituendo superiore Ufficio oppure impiegarli per le
necessità di quelli già esistenti sul territorio. Che fine hanno fatto queste
risorse? Sono ancora nella disponibilità del bilancio della Giustizia oppure
sono state dirottate verso altri settori? Un particolare merito va riconosciuto
all’ex senatore Bobbio, magistrato delegato dal passato Governo alla riforma
dell’ ordinamento giudiziario, il quale tra le numerose proposte presentate
all’epoca in Parlamento (la maggior parte solo per campanilismo) in merito
all’istituzione di nuovi uffici giudiziari, anche in Regioni e Province che non
ne avevano necessità, riuscì a raccogliere in un unico disegno di legge che
prevedeva l’ istituzione di sole 4 Corti di Appello, distribuite in modo equo
sul territorio nazionale, tra nord, centro e sud (tra le quali la Corte di
Appello di Caserta). La mancata approvazione della legge è stata giustificata
dalla mancanza di fondi e quindi della relativa copertura finanziaria. Ma la
verità sta nel mezzo. E’ mancata, almeno per Caserta, come scritto in avanti,
quella necessaria compattezza tra maggioranza ed opposizione, via obbligata per
reperire le risorse necessarie ( si poteva partire dalla somma dei due miliardi
di lire già stanziati per Caserta dalla Commissione Bilancio). Forse a Caserta
non si vuole una vera giustizia, una giustizia che funzioni. Non si è trovata
nei programmi elettorali diffusi durante le campagne elettorali per il rinnovo
del Parlamento e del Comune alcuna traccia di un qualsiasi progetto per
istituire a Caserta un Ufficio prestigioso della Giustizia. In tutti i dibattiti
e convegni si è discusso sulla situazione dell’ordine pubblico, ma nessun
rappresentante politico ha fatto cenno a un progetto di un polo giudiziario
trainante in Caserta. L’insufficienza degli organici delle forze dell’ ordine
sul territorio casertano non è l’unico problema che assilla la Provincia. E’
necessario che anche le istituzioni funzionino e che esse abbiano il controllo
del territorio. Geograficamente Napoli è vicina, ma gerarchicamente è lontana.
Tutti gli uffici casertani e sammaritani dipendono da Napoli. Le disposizioni
partono da Napoli, ma per arrivare nelle sedi periferiche impiegano giorni.
Giorni fa il Ministro On.le Mastella, intervistato sui problemi della
criminalità che affligge Napoli, dichiarava che il decentramento degli Uffici
Pubblici esistenti in Napoli, potrebbe essere uno de rimedi per rompere
l’accerchiamento della città. “L’azienda Giustizia” investe sul territorio;
basti pensare alle risorse che potrebbero essere investite per il funzionamento
degli uffici (manutenzione, materiale di cancelleria, riparazione delle
autovetture, acquisto di bolli, versamenti a banche e uffici postali,
corrispondenza da ricevere e da inoltrare, attività amministrativa). Quante
aziende ed imprenditori locali se ne avvantaggerebbero? (Si aggiunga poi il
risparmio dei costi e delle spese per gli avvocati ed i cittadini, non più
costretti a raggiungere Napoli). Ci ricordiamo della giustizia solo quando
abbiamo bisogno di un certificato penale, o di una chiusura inchiesta per
risarcimento, oppure quando viene commesso un reato a nostro danno. Ci attrae
quando occorre tutelare l’interesse personale, poi, superata tale circostanza,
dimentichiamo tutto. La Giustizia non attrae come il Policlinico, serbatoio di
posti di lavoro da spartire. Nell’anno 2003 lanciammo sulla stampa locale un
messaggio: “la Giustizia intesa come servizio al cittadino”. Ripartiamo da tale
espressione di pensiero. Caserta deve riprendere la corsa per conquistare il
titolo di capoluogo di distretto giudiziario. Una staffetta tra la passata
legislatura e l’attuale, consentirebbe di ripresentare il testo del disegno di
legge, già approvato in Commissione Giustizia, il cui iter parlamentare è stato
interrotto per fine mandato. Nel giro di pochi mesi, farlo approvare da entrambe
le Camere. “ Il sogno impossibile” sarebbe quello di costituire un vero e
proprio movimento trasversale composto da deputati e senatori di entrambi gli
schieramenti pronto a sostenere in tutte le sue fasi il nuovo progetto di legge.
Per realizzare tale sogno è necessario riprendere a dialogare con i
rappresentanti delle Istituzioni locali: Comune, Provincia, Prefettura, Foro di
S. Maria C. Vetere, Forze dell’Ordine, Partiti Politici, Organizzazioni
Sindacali, Imprenditoria locale, Associazioni Culturali e Sociali, e,
soprattutto con i cittadini, i quali dovranno diventare i principali artefici di
tale importante iniziativa. Tutti dovranno collaborare, ciascuno dovrà dare il
suo contributo, anche se modesto, sia diretto che indiretto. Perché è
nell’interesse primario del cittadino che si intende attuare il progetto della
Corte di Appello a Caserta. “La Giustizia intesa come servizio al cittadino”
sarà lo slogan da cui ripartiremo. Pertanto, chiediamo al Presidente del
Coordinamento delle Associazioni, ai Presidenti delle Associazioni e Clubs, ai
componenti tutti, d' istituire un coordinamento ( o tavolo tecnico ), allargato
eventualmente anche alle professionalità del settore giustizia, di persone
disponibili ad avviare il percorso sovraindicato, iniziando ad avviare colloqui
con le Autorità Istituzionali: Sindaco, Presidente della Provincia, Prefetto……
Ringraziamo per l'attenzione.
Caserta, lì 3 ottobre 2006
Mario GIARDINETTO
Mario COZZOLI--------
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CO.AS.CA
Salve, vi inoltro
questo dossier che riguarda uno degli argomenti discussi nell'ultima assemblea
ma non ultimo per importanza. La situazione è ancora molto grave e, per il
momento, senza alternative.
DOSSIER RIFIUTI CAMPANIA
LA PEGGIORE DELLE SOLUZIONI POSSIBILI
L’avvio della soluzione finale: bruciamo tutto
E’ stato recentemente predisposto dal Commissario di Governo per l’emergenza
rifiuti in Campania, Corrado Catenacci, il bando di gara d’appalto con procedura
ristretta accelerata per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani nell'intera regione. Il valore complessivo della gara d’appalto è di 4,5
miliardi di euro (cioè quasi 9.000 miliardi di lire) e consiste in una
concessione ventennale in esclusiva. Detto in soldoni, la Regione si prepara
cioè a sborsare - nell’arco dei prossimi 20 anni - un massimo di 80 euro per
ogni singola tonnellata di rifiuto smaltito. Il totale di rifiuti prodotti in un
anno in Campania si aggira attualmente intorno alle 2,8 milioni di tonnellate.
E’ comunque importante rilevare che il costo di smaltimento dei rifiuti,
ovviamente, non include quello di raccolta e di trasporto degli stessi, che
andrà pagato a parte e che da sempre incide sulle tasche dei contribuenti in
maniera più gravosa. L’appalto è suddiviso in 3 lotti distinti, che comprendono
orientativamente Napoli, Caserta e Salerno. Gli oneri di aggiudicazione – cioè
le spese che saranno completamente a carico di chi vincerà la gara – prevedono
il completamento dell’inceneritore di Acerra (NA), con un investimento ulteriore
di 45 milioni di euro, e la realizzazione di 2 nuovi impianti di incenerimento
(detti eufemisticamente anche termoutilizzatori o termovalorizzatori): uno a
Santa Maria La Fossa (CE) e un altro nel salernitano. In più chi vincerà dovrà
subentrare alla Fibe in gran parte degli altri impianti e dei contratti facenti
capo a quest’ultima. Il 4 maggio è scaduto il termine per manifestare interesse
alla gara. Hanno aderito 2 cordate distinte. Da un lato l’Asm di Brescia in
partnership con l’Unione industriali di Napoli (di cui è presidente Giovanni
Lettieri), l’Asìa di Napoli, l’Amsa di Milano e l’ Ama di Roma. Dall’altro c’è
Veolia Environnement (gruppo Vivendi), il colosso multiutility francese.
L’offerta (al ribasso rispetto alla cifra indicata dal bando di gara) dovrà
essere presentata entro il 27 giugno. Le buste verranno aperte il 4 luglio.
L’aggiudicazione comprende una griglia di parametri, oltre a quello dell’offerta
economica migliore. Un massimo di ben 30 punti infatti, sui 100 totali
disponibili, andrà alla cordata che dimostrerà le migliori modalità di
organizzazione e di gestione del servizio sul territorio. Anche per questo
motivo risulta enormemente favorita per l’aggiudicazione finale la cordata
guidata dall’Asm e dall’Unione industriali di Napoli. La futura gestione dei
rifiuti in Campania, ad onor del vero, suscita enormi perplessità, e forse
ancora maggiori del disastro perpetrato negli ultimi 14 anni. E può anche darsi
che tale disastro sia stato in parte voluto per pilotare poi una soluzione
finale come quella che si intravede e che, francamente, fa rabbrividire. Ma
vediamo più da vicino il perché. Verso un nuovo disastro
La versione ufficiale che si sta facendo strada è che l’intenzione generale
sullo smaltimento rifiuti sia quella di contemperare la raccolta differenziata
con l’incenerimento dei residui non differenziati. Differenziamo cioè quello che
possiamo, il resto lo bruciamo. Ma si tratta di una grossa menzogna,
sbugiardabile con appena un po’ di buon senso. La raccolta differenziata è
evidentemente in antitesi con la possibilità di ricavare (e rivendere al gestore
nazionale) energia elettrica dai rifiuti. E lo è a maggior ragione nel ‘caso’
Campania, se solo facciamo un po’ di conti. Ad Acerra è prevista infatti la
realizzazione di un gigantesco termoutilizzatore, che sarà il più grande
d’Europa, con una potenza elettrica di 120MW. A Santa Maria La Fossa e a Salerno
gli impianti dovrebbero essere equivalenti, di 70MW ciascuno. Ricordiamo, a
titolo esemplificativo, che l’impianto di Brescia (Asm) è di 84 MW ed è in grado
di smaltire oltre 750.000 tonnellate di rifiuti all’anno. In Campania avremo a
breve una potenza di oltre 260MW, capace cioè di smaltire - conti e proporzioni
alla mano - quasi 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno. Vale a dire
pressoché l’intero ammontare prodotto annualmente in Campania. La raccolta
differenziata risulterà cioè di fatto azzerata, o peggio quanto differenziato -
con enorme aggravio di costi per i contribuenti - finirà comunque incenerito. Ma
non basta. Senza una vera raccolta differenziata i cittadini resteranno in ogni
caso ostaggio degli inceneritori. Non bruciare i rifiuti vorrà dire infatti
ritrovarseli in mezzo alla strada, col trionfo ad ogni pie’ sospinto della
facile demagogia interessata all’incenerimento. Chi ospita e subisce i gravosi
effetti degli impianti pertanto vivrà perennemente sotto ricatto. La situazione
che si prospetta, dunque, è a dir poco inquietante.
Ci sono poi da bruciare anche le ecoballe stipate dalla Fibe. Sarà forse per
questo che Giovanni Lettieri, come riportava Il Denaro il 16 maggio scorso, non
perde tempo e già propone la costituzione di una nuova holding per realizzare un
quarto termoutilizzatore addirittura a Napoli città. L’impianto viene definito
da Lettieri «una risorsa per il territorio e per lo sviluppo».
Non è escluso che si prenda di mira l’area industriale di Bagnoli per un quinto
impianto. Qualche lettore, a questo punto, comincerà a paventare il rischio che
la camorra possa infiltrarsi in un business così vistoso, esteso
complessivamente all’intera regione. E che regione… Nessuna paura, comunque. Lo
stesso Lettieri chiarisce infatti la spinosa questione con una dichiarazione che
ci rende tutti più tranquilli, riportata sulle pagine del Corriere del
Mezzogiorno il 6 maggio scorso. La camorra? «Non è paragonabile alla mafia
perché, a differenza di quest’ultima, non si infiltra negli affari e nelle
imprese, ma si limita alle estorsioni». Renzo Capra, presidente dell’Asm di
Brescia, ha recentemente sottolineato lo «scopo etico» che di fatto motiverebbe
l’azienda bresciana nel proporsi in Campania. La natura di questo scopo etico è
chiarita dallo stesso Capra di fronte alla Commissione bicamerale sul ciclo
rifiuti, nel corso della sua audizione tenutasi il 14 settembre 2005, allorché
nacque l’accordo con Lettieri e l’Unione industriali di Napoli. «Direi che sul
territorio l’attività più delicata e più difficile è proprio la raccolta
differenziata piuttosto che la combustione perché, una volta realizzato,
l’impianto [l’inceneritore] va avanti per conto suo. Si tratta, comunque, di
impianti redditizi». Come volevasi dimostrare.
«Produrre energia dall’impianto di Brescia (80MW) con il gas sarebbe stato
quattro volte meno costoso. Cosa lo rende allora, dal punto di vista economico,
fattibile e conveniente? Il fatto che il combustibile [i rifiuti] non viene
pagato da chi lo usa, ma da chi lo fornisce». Cioè sono i cittadini che pagano,
come abbiamo visto, per lo smaltimento dei rifiuti. Ma non basta. Prosegue
infatti Capra: «L’altro aspetto è quello relativo al CIP 6, o comunque ai
certificati verdi, che non sono molto diversi come redditività». Questo è un
altro punto fondamentale. Il Decreto Legislativo 79/1999 (Decreto Bersani),
integrato col Decreto Ministeriale dell’11 novembre 1999, istituisce i
certificati verdi affiancandoli al CIP 6/92, cioè il precedente decreto
interministeriale relativo agli incentivi statali sull’energia prodotta da fonti
rinnovabili. I certificati verdi, a differenza del CIP 6/92, sono attribuibili
non in base a graduatorie, ma a chiunque ne faccia richiesta, per i primi 8 anni
di entrata in funzione degli impianti. E qui veniamo al nodo della questione.
Nel novero dell’energia ricavata da fonti rinnovabili è inclusa anche quella
ottenuta dall’incenerimento rifiuti. Si tratta di una situazione paradossale,
che finisce per deprimere di fatto l’espansione delle vere fonti rinnovabili di
energia.
Ma quanti
soldi pubblici finiscono nelle tasche di chi incenerisce per professione?
Grazie ai certificati verdi e al CIP 6, l’energia prodotta dai rifiuti che
finisce sulla rete nazionale viene attualmente pagata dal gestore della rete
elettrica nazionale 14 centesimi di euro (279 lire) per KWh (chilowattora), in
luogo dei 4 centesimi (87 lire) pagati per l’energia prodotta mediante gas,
carbone, olio combustibile. Ben 10 centesimi di differenza per ogni KWh,
direttamente a carico dallo Stato. Tutto ciò per i primi 8 anni, come dicevamo.
E, poiché un impianto come quello di Brescia (84 MW) produce in un anno circa
500GWh (cioè 500 milioni di KWh), la potenza installata di qui a 4 anni in
Campania (260MW) consentirà all’Asm o a chi per lei di intascare - con tutti e 3
gli impianti a regime - fino ad un massimo di 160 milioni di euro di incentivo
all’anno, per 8 anni di fila. Ovviamente questa cifra è a parte rispetto al
tetto degli 80 euro che la Regione pagherà per “vendere” ogni tonnellata di
combustibile agli inceneritori. E, poiché da ogni tonnellata di rifiuti si
ricavano in media 640 KWh elettrici (equivalenti a 64 euro di contributo
statale), smaltirne ognuna costerà in definitiva al contribuente un massimo di
80 + 64 euro = 144 euro. Alla faccia dello scopo etico. Tra l’altro il solo
incentivo disposto mediante il CIP 6 e i certificati verdi permette di
ammortizzare, in 8 anni, dall’80% al 100% del costo degli impianti di
incenerimento. Capra ammette dinanzi alla Commissione bicamerale: «Senza il CIP
6, o i certificati verdi, difficilmente si potrebbe partire, per cui la Comunità
li ha incentivati e li mantiene». L’ultima parte dell’affermazione del
presidente dell’Asm però è quantomeno inesatta. L’Unione Europea, infatti,
considera rinnovabile soltanto l’energia ottenuta incenerendo biomasse (cioè
legno, residui organici, etc.). Il resto, che rappresenta oltre il 60% del
totale, non rientra affatto nel computo. Per questo motivo l’Italia è stata
oggetto di una procedura di infrazione da parte dell’UE. Bruciare i rifiuti
dunque è un’operazione assai costosa, tenuta in piedi artificialmente dalle
vagonate di soldi pubblici che la finanziano. Altro che libero mercato.
Evidentemente questo è il modo di imprendere molto caro agli imprenditori
italiani. La raccolta differenziata infatti costerebbe assai meno e creerebbe
molti più posti di lavoro: non fatevi ingannare dalla demagogia. Lo fa presente
in una lettera ai cittadini della Campania anche l’ing. Cerani, bresciano, il
quale tra l’altro chiarisce con grande senso civico che la provincia di Brescia
è quella che in Lombardia ha il costo pro capite più alto per lo smaltimento dei
rifiuti. Basterebbero queste pur sommarie considerazioni ad evidenziare
l’assurdità della politica di incenerire ad ogni costo. Anche senza tener conto
dei gravi danni che gli inceneritori causano alla salute dei cittadini. Gli
inceneritori: un impatto ambientale devastante E’ appena il caso di spendere
qualche riga su quest’ultimo argomento, l’impatto ambientale degli inceneritori,
benché molto sia già stato scritto. Molto è stato scritto, è vero, ma ben poco è
transitato al pubblico attraverso i canali consueti, i mezzi di
(dis)informazione di massa. Gli inceneritori emettono dosi massicce di diossina.
La diossina ricade sul terreno e viene accumulata dagli esseri viventi nel corso
della catena alimentare, addensandosi nei grassi e favorendo l’insorgere di
tumori. Non è smaltibile in nessun modo, salvo in un caso: il passaggio diretto
di madre in figlio di una quota di diossina nel corso della gravidanza. I gas
che si formano nel corso della combustione dei rifiuti contengono anche altre
sostanze chimiche molto pericolose, come furani (PCDFs), cloroformio,
policlorobifenili (PCBs), esaclorobenzene (prodotto di degradazione dei PCBs),
tetracloroetilene, formaldeide e fosgene e metalli come l’arsenico, il berillio,
cadmio, cromo (tutte sostanze cancerogene), più altri metalli pesanti non
cancerogeni. I filtri degli impianti abbattono in fase di emissione gran parte
di queste sostanze, tuttavia non possono eliminarle tutte. Circa il 30% del peso
iniziale del rifiuto si ritrova poi alla fine del ciclo di combustione sotto
forma di ceneri altamente contaminate. Pertanto l’inceneritore non elimina
affatto le discariche; anzi, al contrario richiede una discarica speciale per le
ceneri residue, ceneri che - come abbiamo già detto - ammontano in peso a circa
300 Kg per ogni tonnellata bruciata. Un altro grosso problema è rappresentato
dalle polveri sottili, particolato PM10, PM2.5 e PM0.1, le quali si formano in
grandi quantità durante la combustione di impianti del genere. Un recente studio
degli scienziati Gatti e Montanari, commissionato dall’Unione Europea, ha
evidenziato in particolare l’estrema pericolosità del particolato PM0.1,
nanoparticelle con diametro inferiore al decimillesimo di millimetro, che la
normativa europea finora non aveva considerato rilevanti ai fini della
valutazione dell'impatto ambientale degli impianti di emissione (turbogas e
inceneritori innanzitutto). Con l’ausilio di un microscopio a scansione
ambientale i due scienziati hanno invece dimostrato che non non esiste filtro in
grado di abbattere il PM0.1. Tale particolato transita anche negli alimenti e
non è smaltibile dal corpo umano, entrando nella cellula fino ad intaccare il
filamento del Dna. A fronte dello studio Gatti-Montanari, il calcolo del PM2.5 e
del PM0.1 emesso verrà con tutta probabilità introdotto nelle normative europee.
Risultato: gli inceneritori saranno fuorilegge, salvo proroghe e sanatorie di
alcuni anni. Ma fino a quando i cittadini dovranno ancora continuare a “morire a
norma di legge”,
tanto per usare le parole di Beppe Grillo?
PER
SAPERNE DI PIÙ
www.glomeda.org
La lobby dell’inceneritore
Tutte le regioni italiane sono oggetto di campagne di promozione degli
inceneritori da parte di potenti lobby industriali e finanziarie. Le campagne
vertono soprattutto sul contributo che tali impianti possono dare in termini di
energia elettrica e termica.
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