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Gabriella Gribaudi
1Il ciclo vizioso dei rifiuti campani
Pubblichiamo in anteprima la bozza di un articolo che la rivista
ha commissionato a Gabriella Gribaudi lo scorso anno e che verrà
pubblicato sul numero 1/2008, disponibile in libreria a partire
dal 21 febbraio prossimo. I diritti di riproduzione sono
riservati. Per ottenere l’autorizzazione a riprodurre parti del
testo è necessario mettersi in contatto con la redazione.
Maggio giugno 2007. La Campania è invasa dai rifiuti. La
«monnezza» arriva ai piani alti delle case. Le fotografie fanno il
giro dell’Italia, e non solo, recando un danno incommensurabile
all’immagine di Napoli e della regione.
Il 27 giugno il giudice per le indagini preliminari del tribunale
di Napoli, accogliendo le richieste che erano state formulate
dalla procura, deposita un’ordinanza nei confronti degli esponenti
del commissariato straordinario per l’emergenza e delle società
responsabili degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti
(Impregilo, Fibe, Fibe Campania e Fisia Italimpianti). L’ordinanza
di 400 pagine contiene accuse durissime contro i responsabili di
14 anni di commissariamento: le imprese sono accusate di aver
operato una «truffa aggravata ai danni dello stato e frode in
fornitura» e il commissariato di «inerzia» nell’attività di
controllo. Il mese successivo l’ufficio del riesame conferma la
correttezza delle accuse e dà via libera all’istruttoria. Una
serie di vicende tra l’assurdo, il surreale e l’inquietante
ritardano poi il processo fino a rischiare la prescrizione per
alcuni reati. In agosto il procedimento viene affidato a un
magistrato che, al ritorno dalle ferie, viene trasferito ad altro
ufficio. In settembre viene scelto un giudice in «congedo
parentale». Si deve attendere il suo ritorno per avviare le
procedure. Nella prima udienza preliminare che si tiene il 27
novembre il procedimento viene immediatamente rinviato al 14
gennaio 2008 per «difetto di notifica». Sono oltre 549 i comuni
che risultano parti lese nel processo e a cui è stato notificato
l’inizio del procedimento affinché possano presentarsi come parti
civili lese, ma ottanta di questi non risultano avvisati, mancano
le notifiche dell’avviso. Non si può cominciare. Ma questa è altra
storia ancora. Partiamo ora dalle accuse formulate dalla procura
di Napoli per poi tornare indietro nel tempo a ricostruire le
vicende.
La Fibe-Impregilo, la società che vinse la gara per la costruzione
dell’intero ciclo di smaltimento dei rifiuti nel 2000, viene
accusata di «truffa e frode in pubbliche forniture» e il
commissariato straordinario di inerzia nei confronti dell’impresa.
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In sostanza di non aver controllato l’operato delle ditte, di aver
taciuto sulla truffa che si stava operando
2.Tra i ventotto indagati, il presidente della regione Antonio
Bassolino, in quanto commissario straordinario dal 2000 al 2004,
il vicecommissario Raffaele Vanoli, il subcommissario Giulio
Facchi, i vertici dell’Impregilo, Piergiorgio e Paolo Romiti (ex
responsabili delle società del gruppo che hanno operato in
Campania fino al gennaio 2006 come gestori dello smaltimento).
Oggi la Campania rivive una nuova incredibile emergenza: montagne
di rifiuti giacciono nelle strade, le popolazioni insorgono, sui
giornali nazionali si parla di disastro, inferno, dramma…
L’immagine di Napoli e della regione è ancora una volta
irrimediabilmente danneggiata. Stereotipi antichi possono
riemergere dal passato rafforzando il solco che già divide Nord e
Sud del Paese. Anche questo andrà messo nel conto delle
responsabilità politiche del disastro.
Gara dubbia, tecnologia arretrata, inerzia del commissario
Per ricostruire le intricate vicende del mancato ciclo di rifiuti
campano bisogna cominciare dal febbraio 1994, data in cui il
governo nazionale nominò il prefetto di Napoli commissario
straordinario dell’emergenza nel settore dei rifiuti. La Campania
si trovava in una situazione di emergenza: il piano regionale
emanato l’anno precedente non funzionava, la raccolta
differenziata non partiva, tutti i rifiuti venivano convogliati
nelle discariche che si andavano saturando. Iniziava allora quel
«regime di proroga» degli usi delle discariche che avrebbe
innestato «un circolo vizioso che per molti anni avrebbe messo la
conurbazione napoletana in crisi con diversi momenti di
emergenza»
3. A 13 anni di distanza il problema permane e si fasempre più grave: tutti i rifiuti della regione, non trattati in
alcun modo, finiscono nelle discariche che vengono utilizzate e
riutilizzate oltre ogni ragionevole limite a danno delle
popolazioni che disgraziatamente vivono nelle vicinanze e che si
ribellano, cercano in ogni modo e inutilmente di far sentire la
loro voce. Allora come oggi il commissario ha il compito di
costringere tali popolazioni ad accettare l’inaccettabile e
imporre le discariche con la forza dell’emergenza straordinaria.
Il prefetto era allora commissario per la sola «gestione
quotidiana» dei rifiuti, cioè doveva occuparsi appunto delle
situazioni di emergenza, in attesa che la regione organizzasse il
piano di smaltimento generale. Le difficoltà della giunta, la
fragilità degli equilibri politici, unite all’incapacità del
consiglio regionale di legiferare, impedirono a un qualsiasi piano
di venire concepito e di partire. A questo punto venne creato un
secondo commissario, il presidente della regione, all’epoca
Antonio Rastrelli a capo di una coalizione di centrodestra, il
quale doveva predisporre un piano definitivo per superare
l’emergenza.
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Il piano di Rastrelli aveva un’impostazione «teorica» ambiziosa.
Con l’intento esplicito di superare il modello delle discariche,
si proponeva un ciclo integrato con «la produzione di un
combustibile da rifiuti (Cdr) di elevata qualità, che a ciclo
chiuso avrebbe alimentato i termovalorizzatori per la produzione
di energia elettrica»
4. Insieme avrebbe dovuto svilupparsi laraccolta differenziata a livelli molto elevati. La gara venne
indetta nel 1998 e si concluse nel 2000, presidente della regione
e quindi commissario straordinario era in quel momento Antonio
Bassolino, che firmò il contratto con l’impresa vincitrice. Il
primo rilievo di tipo politico mosso al governatore è proprio
quello di aver firmato quell’atto, poiché ci sarebbero stati già
allora tutti gli elementi per considerare dubbi gli esiti della
gara. La gara prevedeva che il vincitore realizzasse due
termovalorizzatori e sette impianti di produzione di Cdr, impianti
che differenziassero i rifiuti dando origine a un Cdr
(combustibile derivato da rifiuti) che potesse poi essere bruciato
nei termovalorizzatori producendo energia, e alla Fos (frazione
organica stabilizzata) che avrebbe dovuto essere utilizzata nelle
attività di bonifica ambientale. Tutto ciò avrebbe permesso,
secondo il piano teorico, di chiudere il ciclo dello smaltimento
dei rifiuti in Campania. Ma le previsioni ottimistiche non si
avverarono.
La gara fu vinta dalla Fibe (sigla ottenuta dai nomi delle imprese
Fisia, Impregilo, Babcok, Evo Oberrhausen), con capofila Fisia del
gruppo Impregilo. Il valore tecnico del progetto Fibe era stato
giudicato con 4,2 punti, meno della metà della concorrente che
aveva ottenuto il punteggio di 8,6 punti. Nonostante ciò l’impresa
si aggiudicò l’appalto. Vinse offrendo un prezzo inferiore per lo
smaltimento e una messa in esercizio più veloce. Il
termovalorizzatore proposto era tecnologicamente arretrato, come
si evince dal diverso punteggio acquisito, non dava garanzie dal
punto di vista ambientale e dal punto di vista di una buona
realizzazione di energia. Come sottolinea la relazione della
commissione parlamentare d’inchiesta del 2007 «l’emergenza fu
interpretata nel senso solo del
tentar di fare presto e non, piùragionevolmente, del
fare presto e bene»5. La Fibe prometteva diconsegnare il termovalorizzatore entro il 31 dicembre 2000. Entro
quella data non solo non c’era il termovalorizzatore, non c’erano
neppure le autorizzazioni alla costruzione edile! Il capitolato
stesso del bando di gara si rivelava mal formulato e inadeguato.
Non veniva richiesto un progetto preciso e affidabile, mentre si
privilegiavano le voci che facevano riferimento ai prezzi e ai
tempi di consegna. Una valutazione più seria della situazione
avrebbe dovuto far capire che i tempi proposti non erano
realizzabili. Una serie di clausole aggiunte successivamente
avrebbero concesso la possibilità di proroga alla consegna senza
applicazioni di penali per motivi di forza maggiore, ma anche per
eventuali variazioni apportate alle opere e/o richieste dal
commissariato, variazioni che fra l’altro si rendevano necessarie
per le mancanze della Fibe, e cioè per la pessima qualità del
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prodotto offerto. Tutto ciò ha sostanzialmente vanificato quel
parametro per cui l’impresa aveva vinto la gara.
Inoltre, altra clausola gravissima, il contratto prevedeva che il
sito del termovalorizzatore venisse scelto liberamente dalla ditta
vincitrice. E, per i poteri di deroga del commissariato
straordinario dovuti all’emergenza, non veniva richiesta la
«valutazione di impatto ambientale» (Via). Successive modifiche
all’ordinanza non resero comunque mai obbligatoria una vera
valutazione. Vediamo le riflessioni della commissione parlamentare
del 2006.
INIZIO CIT.
L’emergenza non solo aveva condotto ad attribuire un peso
determinante, nell’aggiudicazione, ai tempi di realizzazione degli
impianti, con sacrificio del valore tecnico-scientifico delle
opere, tanto da dover richiedere successivamente importanti
interventi di adeguamento; ma aveva anche fatto rinunciare alla
più attenta e fondata valutazione di impatto ambientale a favore
di una valutazione di mera compatibilità, il cui esito, riportato
nella predetta ordinanza, finisce con l’assumere il tono di un
adempimento solo formale di un’esigenza di accertamento che
richiedeva, viceversa, ben altri tempi e più pregnanti verifiche,
necessarie ed ineludibili. Tanto ineludibili da riproporsi in
tutta la loro pienezza e imprescindibilità ancor oggi […]. La
localizzazione era lasciata del tutto libera senza alcun criterio
guida che tenesse conto delle situazioni territoriali pregresse,
in modo da evitare di far ricadere nuovi interventi impiantistici
in aree geografiche oggetto in precedenza di altri interventi in
materia di rifiuti (siti in relazione ai quali, prevedibilmente,
poteva essere evidente una impraticabilità «sociale»). D’altra
parte, era facile immaginare che il sistema di libera scelta
logistica avrebbe reso possibile situazioni speculative, che
dovevano invece essere evitate non solo per una ragione di tipo
economico-finanziario, ma anche perché avrebbero costituito la
vera fragilità del sistema, rendendolo facile preda delle
infiltrazioni della criminalità organizzata, capace in Campania di
un controllo pressoché capillare del territorio
6.FINE CIT.
Dunque la localizzazione degli impianti non soltanto fu decisa
dall’alto, senza alcuna consultazione con le istituzioni locali né
tanto meno con la popolazione, ma dipese solo dalle valutazioni
economiche dell’impresa che non tenne in alcun conto i problemi,
le caratteristiche, la storia del territorio. I due
termovalorizzatori furono progettati in due località vicine con un
impatto elevatissimo sul contesto ambientale. Attualmente è in
costruzione il termovalorizzatore di Acerra, la cui storia è nota
ormai a livello nazionale per la strenua lotta che la popolazione
ha condotto contro la sua realizzazione. Esponenti politici
nazionali, organi di stampa, programmi televisivi hanno spesso
descritto la battaglia degli acerrani in termini di arretratezza
culturale e di campanilismo. La realtà è un’altra: la zona di
Acerra, che ha già sofferto i danni di impianti industriali
altamente inquinanti come la Montefibre, è stato definita, da
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innumerevoli studi, zona ad elevatissimo inquinamento, da
sottoporre a bonifica. È dei primi di luglio del 2006 il decreto
che definisce il territorio di Acerra in stato di emergenza a
causa della diossina. Invece della bonifica la cittadina ottiene
un altro impianto inquinante. A causa della tecnologia obsoleta il
termovalorizzatore emetterà gas che avranno un effetto negativo
nel raggio di 10 chilometri. Gli esperti lo definiscono, infatti,
un inceneritore, perché non avrebbe affatto le capacità di
temovalorizzare ma si limiterebbe a bruciare i rifiuti, avrebbe
una bassa capacità di produrre energia e un alto volume di
emissioni atmosferiche
7. Il terreno dove l’inceneritore vienecostruito è, inoltre, a poche centinaia di metri dai suoli dove
dovrà essere realizzato il Polo pediatrico mediterraneo, in
seguito a un accordo di programma tra regione Campania, ministero
della Sanità, provincia di Napoli e comune
8 .L’altro inceneritore, non ancora in costruzione e che dovrebbe
comunque essere edificato dalla Fibe ora indagata, è previsto a
Santa Maria La Fossa a circa 20 chilometri di distanza da quello
di Acerra. I due grandi impianti, che dovrebbero bruciare i
rifiuti dell’intera regione, sono concentrati, dunque, in una zona
specifica, dove pure si dovranno situare gli impianti di
produzione di Cdr, i siti di stoccaggio delle ecoballe, le vie di
comunicazione attraverso cui giungeranno gli autotrasporti da
centinaia di chilometri di distanza. Ed è la zona dove viene
prodotto il 70% della mozzarella di bufala campana, uno dei più
noti e più venduti prodotti della regione.
Il piano centralizzato e così impostato ha, fra l’altro, impedito
soluzioni alternative e più razionali. La provincia di Avellino
aveva, ad esempio, proposto un proprio piano con un piccolo
inceneritore, che avrebbe potuto risolvere i problemi della
provincia e non ha potuto farlo, perché era in contrasto con il
progetto approvato dal commissariato straordinario. E situazione
analoga si è verificata per la provincia di Salerno.
Già si cominciano a delineare alcuni gravissimi problemi. Ma la
cosa non finisce qui. Il contratto con la Fibe prevedeva sette
impianti di produzione di Cdr (combustibile da rifiuti), che
avrebbero dovuto fornire la materia prima da bruciare nel
«cosiddetto termovalorizzatore. Dagli impianti costruiti dalla
Fibe esce, invece, un rifiuto che gli esperti chiamano, con un
nome allusivo molto significativo, «tal quale». Si tratta, cioè,
di rifiuti triturati e impacchettati, ma tali e quali a quelli che
sono entrati. Vale a dire, gli impianti non sono in grado di
differenziare il prodotto e quindi non producono Cdr e tanto meno
Fos (frazione organica stabilizzata). Quand’anche i famosi
termovalorizzatori venissero terminati, tutte quelle ecoballe che
occupano il suolo campano non potrebbero essere smaltite perché
non adatte alla combustione. È questo il principale capo d’accusa
dei magistrati napoletani, che ipotizzano una vera e propria
truffa ai danni dello stato e dei cittadini.
D’altro canto il problema emerge con grande chiarezza anche dai
lavori delle commissioni parlamentari.
INIZIO CIT.
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Il cosiddetto Cdr è da definirsi semplicemente come rifiuto solido
urbano tal quale; per quanto riguarda la Fos, a causa delle
carenze nel processo produttivo oltre che per le sue intrinseche
caratteristiche, non può qualificarsi come tale; negli impianti si
attua, di fatto, più che una selezione una suddivisione dei
rifiuti solidi urbani, che vengono mandati alla discarica con
codici e descrizioni diverse; in questi impianti non si ottiene
alcun vantaggio né in termini di quantità né di qualità rispetto
allo smaltimento degli Rsu direttamente in discarica […] In
sintesi, gli impianti di trattamento non hanno prodotto i
materiali per i quali erano stati autorizzati ed i materiali
ottenuti, qualunque siano le loro caratteristiche, sono stati
destinati a discarica anche se con denominazione differenti
(relazione parlamentare 2006).
FINE CIT.
Nelle ecoballe, continua la relazione, sono state rinvenute
percentuali di arsenico superiori ai limiti imposti, oggetti
interi, ad esempio una ruota completa di cerchione e pneumatico.
La conclusione è chiara: «il Cdr è prodotto perché deve essere
termovalorizzato; se non si riesce a termovalorizzare esso è un
rifiuto, da cui non solo non si ricavano profitti (connessi alla
vendita dell’energia prodotta), ma che richiede ulteriori risorse
economiche per il suo definitivo smaltimento». Le conclusioni
della relazione 2006 sono ribadite nella relazione del 2007. «Il
Cdr prodotto dalla regione Campania ha un potere calorifico
inferiore, la sua utilizzazione nel costruendo termovalorizzatore
non è compatibile… e ha un tasso di umidità troppo alto per finire
nel termovalorizzatore». D’altro canto il commissario Catenacci,
succeduto a Bassolino, ammetteva già nel 2004 nel corso
dell’audizione parlamentare del 27 giugno che «gli impianti di Cdr
funzionavano abbastanza male e da essi non uscivano prodotti con
le qualità previste dal contratto e dagli altri capitolati».
Le imprese avrebbero dovuto gestire tutti i rifiuti prodotti in
Campania trasformandone il 32 per cento in combustibile, il 33 per
cento in compost destinato al recupero ambientale. Il 3 per cento
dovevano essere scarti ferrosi. Solo il 14 per cento doveva finire
in discarica.
INIZIO CIT.
Ma, è la tesi dei magistrati che si sono serviti di numerose
perizie tecniche, quella che esce dagli impianti di Cdr è
spazzatura triturata. Ed è da qui che nasce l’esigenza costante di
nuove cave dove smaltire i rifiuti […] e la quantità di immondizia
che esce dai sette inceneritori è maggiore di quella in entrata a
causa degli additivi. E così il commissariato ha speso finora
milioni di euro per inviare le balle al nord o addirittura
all’estero. In attesa di costruire l’impianto di Acerra le ditte
appaltatrici avrebbero dovuto smaltire le ecoballe a proprie
spese, ma il commissariato non ha preteso il rispetto della
clausola contrattuale. Non basta. Il subappalto del trasporto di
materiali prodotti dagli impianti era vietato, ma solo sulla
carta. Le numerose emergenze hanno fatto proliferare le deroghe e
il servizio è stato affidato a una partecipata dei Comuni
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dell’area Nord (Impregeco), che non avendo però i mezzi necessari
lo ha a sua volta appaltato a una miriade di padroncini.
L’emergenza poi giustifica fitti e subappalti senza gare. E i
costi lievitano. Perciò la Campania sommersa dalla spazzatura paga
la tassa sui rifiuti più cara d’Italia»
9.FINE CIT.
L’articolo del quotidiano napoletano illustra in poche parole la
storia delle ecoballe e della loro proliferazione. Nell’audizione
del 2004 il commissario Catenacci delineava già a tinte fosche la
situazione. «La Campania è sommersa di ecoballe. Nel momento in
cui i termovalorizzatori entreranno in funzione, ci saranno 8
milioni e mezzo di tonnellate di ecoballe giacenti nei vari siti
della Campania». «Ogni mese 40.000 metri quadrati sono utilizzati
per depositare le balle» devastando la regione. E da allora la
situazione è peggiorata. Sono migliaia e migliaia le ecoballe che
non possono essere smaltite e che comunque andrebbero in
discarica, anche se ci fosse il termovalorizzatore, come conferma
oggi il nuovo commissario straordinario, il prefetto di Napoli
Alessandro Pansa: «Non sappiamo cosa farne, non le possiamo
utilizzare nell’inceneritore perché non hanno le caratteristiche
del combustibile da rifiuti, ho bisogno di trovare dei siti dove
stoccarle scontrandomi con tutte le popolazioni, ci stiamo
scervellando per capire come le dobbiamo trattare, però
continuiamo a produrre ecoballe»
10.La ricerca di vasti siti per lo stoccaggio di chilometri e
chilometri di monnezza apre, fra l’altro, uno spazio alla
criminalità organizzata. La camorra è particolarmente radicata
proprio nelle zone in cui sono stati progettati la maggior parte
degli impianti, ed ha quindi una notevole capacità di controllare
il mercato dei suoli. I siti sono stati comprati da gruppi
sospetti a prezzi bassissimi e rivenduti a prezzi vertiginosi per
lo stoccaggio delle ecoballe. Nella relazione della commissione
parlamentare del 2005 si parla di suoli acquistati qualche mese
prima per l’importo di 200 milioni e rivenduti alla Fibe per la
somma di 2 miliardi e 250 milioni delle vecchie lire. Ad Acerra è
stato affittato un sito da un presunto mafioso per la cifra di 9
milioni al giorno delle vecchie lire; la superficie del suolo era
stata valutata di 14.500 metri quadrati, a un riscontro è
risultata di 9.500 metri.
Infine la situazione richiede la ricerca di sempre nuove
discariche. Ne sono state riaperte alcune che erano già state
considerate esaurite, provocando continui conflitti con le
popolazioni locali. Significativa la storia della discarica di Lo
Uttaro a Caserta. Esaurita e chiusa per essere bonificata, viene
riaperta per la situazione di drammatica emergenza verificatasi
tra la primavera e l’estate scorsa. La popolazione insorge con
grandi manifestazioni di piazza. Il 24 aprile entrano ugualmente
nel sito i primi camion per sversare i rifiuti. Si verificano
tensioni e disordini fra il comitato dei cittadini e le forze di
polizia. Nulla da fare, gli sversamenti continuano. Ma ai primi di
dicembre la magistratura, dopo un’attenta inchiesta, impone la
chiusura di Lo Uttaro. Sono state trovate altissime concentrazioni
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di sostanze nocive e di carbonio organico, che non sarebbero state
accettabili neppure in una discarica di rifiuti pericolosi. «Le
ipotesi di reato vanno dal disastro ambientale, alla attività di
gestione non autorizzata in discarica, alla attività organizzata
per la gestione abusiva di rifiuti pericolosi, alla frode in
esecuzione dei lavori, al falso ideologico ed alla omissione di
atti d’ufficio»
11. Dodici gli indagati: i direttori dei consorzi,dell’impianto di Cdr che conferiva alla discarica, vari funzionari
della struttura commissariale, della provincia, della prefettura,
i responsabili delle ditte appaltatrici dei lavori
12. Altra vicendaesemplare è quella che riguarda la discarica di Taverna del Re a
Giugliano, cittadina poco distante da Napoli. Si tratta anche in
questo caso di una discarica che era stata chiusa e riaperta per
l’emergenza. Si calcola che abbia stoccato in due anni circa due
milioni di spazzatura tritovagliata
13. Per la sua chiusura si èformato un comitato di cittadini e si è costantemente mobilitata
la popolazione, che da tempo subisce gli effetti perversi della
politica dei rifiuti campani: per ammissione dello stesso
commissario Catenacci (audizione del 2004) per tantissimi anni a
Giugliano vi è stato lo sversamento dei rifiuti di quasi tutta la
Campania. Da una seria inchiesta sanitaria risulta che la
popolazione di Giugliano e dei comuni vicini (compresa Acerra)
soffre di tumori e di malformazioni alla nascita in percentuale
nettamente superiore alla media nazionale. Anche l’uso di Taverna
del Re è stato sottoposto a indagine da parte della magistratura.
Il 21 dicembre 2007 ne era stata decisa la chiusura definitiva, il
comitato di protesta aveva brindato al passaggio dell’ultimo
camion. Ma ecco che, incalzato dall’emergenza sempre più grave, il
27 dicembre il commissario torna sulle sue decisioni e la riapre
fra la costernazione dei giuglianesi.
Proprio in queste ore, mentre mi appresto a chiudere
definitivamente l’articolo, è in corso un nuovo conflitto fra
popolazioni e istituzioni: il commissario straordinario ha imposto
la riapertura di un’altra discarica storica, quella di contrada
Pisani, nel quartiere napoletano di Pianura. La discarica ha
inghiottito per quarant’anni i rifiuti della città di Napoli, tra
il 1889 e il 1993 vi sono stati versati anche rifiuti tossici e
nocivi, è stata chiusa e bonificata nel 1996. Al suo posto,
secondo le illusorie promesse fatte dagli amministratori agli
abitanti, avrebbe dovuto sorgere addirittura un campo da golf… La
collinetta che contiene ancora gli antichi rifiuti e che oggi
dovrebbe essere riaperta sorge alle spalle della riserva naturale
degli Astroni, un cratere incontaminato con un particolare
microclima, una flora e una fauna particolari… una delle
meraviglie della città. Non lontano il quartiere popolosissimo di
Pianura. Contro il riutilizzo della discarica di contrada Pisani
si è espressa anche Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli. Nella
notte fra il 3 e il 4 gennaio i presìdi dei cittadini sono stati
aggirati da circa 200 agenti che hanno aperto la strada ai tir e
alle escavatrici dell’impresa che dovrà preparare il sito di
stoccaggio. Il comitato del quartiere prepara con urgenza il
ricorso al tribunale civile di Napoli.
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Dunque solo l’opera della magistratura sembra ergersi a tutela
della salute dei cittadini
14. Come è avvenuto, d’altro canto, peril controllo dell’intero ciclo di smaltimento. Chi si è accorto
che gli impianti costruiti dalla Fibe non erano a norma e non
rispettavano le clausole del contratto? Non il commissario
straordinario con tutti i suoi collaboratori lautamente
stipendiati, ma di nuovo, come sempre in Italia, la magistratura.
La procura della repubblica apre l’inchiesta nel maggio 2003 e la
chiude nel settembre 2006. Nel giugno 2007 il giudice per le
indagini preliminari conferma e accoglie le richieste formulate
dalla procura, che verranno ancora vagliate e accolte dal
tribunale del riesame. «Reato di truffa aggravata a carico delle
società e degli ex vertici del commissariato in concorso. Un
sistema di smaltimento «la cui inidoneità a produrre Cdr era già
nota prima che gli impianti entrassero in funzione». «Sistematica
violazione degli obblighi contrattuali e di una gestione del
servizio lontana dai criteri e dai parametri che avrebbero dovuto
informarla». «Sistematica inerzia del Commissariato straordinario
per l’emergenza» e di «Antonio Bassolino, che con una
partecipazione attiva e omissiva consentiva e non impediva che le
imprese ponessero in essere raggiri». In sintesi, da un canto si
rileva l’accertata inadeguatezza degli impianti e la mancata
riduzione dei rifiuti destinati alla discarica, e dall’altro una
sostanziale inerzia del commissariato. Nella nota periodica
inviata al Consiglio dei Ministri nel novembre 2002, Bassolino
aveva affermato che i sei impianti di produzione oggi contestati
erano un «un punto di riferimento in termini di modello
tecnologico aziendale»
15. Come è noto, il governatore si è difesosostenendo che il suo ruolo era eminentemente politico, non poteva
avere il controllo assoluto di tutto ciò che passava alla sua
firma, che si doveva fidare di amministratori ed esperti per quel
che riguardava gli aspetti tecnici.
Ma, oltre ai rilievi tecnici sul ciclo prefigurato dal contratto
con la Fibe, si possono fare rilievi cruciali sui principi stessi
a cui il piano si è ispirato: un piano tutto sbilanciato, negli
strumenti e nei tempi di realizzazione, a favore degli impianti di
Cdr e dell’inceneritore senza la programmazione di una efficace
raccolta differenziata.
Lo smaltimento dei rifiuti attraverso gli impianti di Cdr e il
termovalorizzatore avrebbe dovuto essere solo il ciclo finale di
una catena che si apriva con la raccolta differenziata e che
quindi mandava agli impianti solo una percentuale dei rifiuti. Le
priorità assegnate ai Cdr «in assenza di una raccolta
differenziata e a causa del grave ritardo nella realizzazione
degli unici due impianti di termovalorizzazione previsti, hanno
finito per produrre il definitivo collasso del sistema» con la
conseguenza di aprire sempre nuove aree di stoccaggio e discariche
a cielo aperto, con relativo grave danno alla salute dei cittadini
(relazione parlamentare 2006).
Non sono mai stati predisposti piani alternativi. Si aspetta il
mitico inceneritore. Oggi il nuovo commissario straordinario, il
prefetto di Napoli Alessandro Pansa, annuncia che l’inceneritore
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sarà collaudato nel 2008 e che ci vorranno 30 milioni di euro per
mettere a norma i Cdr. Ma i dubbi sulla data effettiva di inizio
sono molti. Tutti ritardi e spese che pagano i cittadini, e non la
Fibe, cui anzi i commissari hanno anticipato fondi non ancora
restituiti.
La raccolta differenziata. Spese senza risultati
Dunque un altro gravissimo problema è la mancanza di una raccolta
differenziata. I rifiuti mandati ai Cdr e all’eventuale
termovalorizzatore dovrebbero costituire una percentuale minima
della spazzatura, che dovrebbe essere divisa all’origine. Se
questo fosse stato fatto, non avremmo avuto tutti quei chilometri
quadrati di ecoballe «tal quali» fatte di rifiuti triturati, che
hanno letteralmente sommerso la regione e peggiorato la qualità
della vita di milioni di cittadini. Ne avremmo avuto, forse, una
percentuale gestibile.
La storia della mancata raccolta differenziata merita, purtroppo,
un’attenzione particolare.
Poiché, a fronte di una uscita consistente all’interno del
bilancio del commissariato, si sono avuti risultati pressoché
nulli. Anche il caso della raccolta differenziata è in parte
vicenda di incapacità di progettazione, di mancanza di una
pragmatica visione della realtà. «Si sa che la raccolta
differenziata necessita di un insieme di condizioni che, se non
presenti, possono essere realizzate in tempi non sempre brevi,
solo grazie a molto impegno di attori autorevoli: l’organizzazione
e l’impegno di comuni, consorzi, province, aziende speciali, oltre
ad un significativo mutamento di abitudini dei cittadini che può
essere prodotto da anni di serie, incisive e originali campagne di
sensibilizzazione, sostegno e educazione a un diverso stile di
consumi e trattamento dei materiali. Occorre poi l’effettiva
disponibilità di una filiera di impianti efficienti: dai
contenitori domestici a quelli condominiali, i punti di raccolta,
le isole ecologiche, le stazioni di separazione e quelle di
trasferenza e compattazione, le stazioni multifunzionali»
16. Erano,queste, condizioni inesistenti in Campania, che si sarebbero
dovute creare nei lunghi anni della gestione dell’emergenza.
Purtroppo siamo invece ai livelli di partenza. Oltre ad una
progettazione inefficace, ci troviamo qui di fronte a un vero e
proprio sperpero di risorse. Temo che non si possano usare altri
termini.
Nel 1993 con una legge regionale venivano istituiti 18 Consorzi di
Bacino a cui affidare l’attuazione della raccolta differenziata.
Con la politica dell’emergenza i finanziamenti e i piani di
indirizzo vennero centralizzati e compresi nel bilancio del
commissariato straordinario. Si creavano poi alcune
sovrapposizioni e conflitti di competenza con i comuni. Ci sono
attualmente contese giudiziarie tra alcuni comuni e i relativi
consorzi. In mancanza di una serie rete di impianti di trattamento
dei rifiuti differenziati tutto il sistema appare come una
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struttura inutile e sperperatrice di danaro. Vediamo i casi più
significativi.
Nel 2000 vengono assunti per la raccolta differenziata circa 2.300
lavoratori che vengono distribuiti nei 18 consorzi. Con un bando
regionale del 2001 essi vengono stabilizzati. Sono entrati,
attraverso una corsia preferenziale, gli iscritti alle cooperative
dei disoccupati, dei Lavoratori Socialmente Utili. Quegli stessi
che per mesi, anzi per anni, avevano bloccato le strade, le navi
nel porto con i turisti obbligati a scendere, avevano incendiato
cassonetti della spazzatura e autobus, con una vera e propria
guerriglia urbana che aveva bloccato la città. Erano i giorni in
cui si doveva decidere a chi assegnare l’American Cup e
sicuramente quegli episodi hanno pesato negativamente sulla
bilancia della decisione. Eppure proprio a quelle cooperative è
stato data la corsia preferenziale. Non solo, assunti a contratto
determinato, furono trasformati in lavoratori a tempo
indeterminato dopo altre innumerevoli violenze e pressioni.
Le cooperative degli Lsu rappresentano in parte l’eredità storica
dei comitati di lotta dei disoccupati organizzati, sorti a Napoli
negli anni settanta sull’onda delle proteste sociali e delle crisi
endemiche della città. I comitati lottavano per un posto di lavoro
assicurato, chiedendo un’assunzione «di lotta». I primi comitati
sorsero in seguito all’epidemia del colera del 1974; erano
composti da pescatori e cozzicari che erano rimasti senza lavoro.
L’amministrazione Valenzi nel 1975 li immise, attraverso corsi di
formazione, nei ruoli della pubblica amministrazione come
spazzini, portantini, infermieri, bidelli… Questo, ovviamente, non
fece che spingere alla formazione di nuovi comitati e a forme di
lotta sempre più dure, con episodi di vera e propria violenza
urbana. Erano di diversa ispirazione politica: c’erano comitati di
sinistra e comitati di destra. Fra questi ultimi alcuni erano
organizzati da leader del centro storico contigui per cultura e
frequentazioni ai gruppi camorristi. Attraverso di loro i clan
attuavano un controllo politico ed economico sui comitati, in un
incredibile incrocio di fiducia, vicinanza politica e culturale,
violenza, estorsione. Tutto questo emerge con chiarezza in questi
anni. E sono le indagini della magistratura sui clan del centro
storico a portare alla luce tali dinamiche. Il leader di uno dei
comitati era Salvatore Lezzi, attuale consigliere circoscrizionale
di Forza Italia di Montecalvario. Gli aderenti al comitato
dovevano pagare una quota per essere inseriti nella graduatoria
regionale per l’avviamento al lavoro nella raccolta dei rifiuti,
pubblicata il 25 luglio 2001 e resa effettiva il 31-8-2001.
Attraverso Salvatore Lezzi la quota giungeva ai clan. Risulta che
siano transitate ai clan nel 2001 «somme non inferiori a
complessive lire un miliardo e mezzo» . Gli aspiranti al lavoro
pagavano «fra un minimo di cinque milioni, corrispondenti alle
prime quattro o cinque mensilità della prestazione lavorativa e il
massimo di venti-trenta milioni di vecchie lire»
17. I risultatidell’indagine sui clan dei Quartieri Spagnoli vengono oggi
confermate da ulteriori indagini che vedono al centro il clan
Misso e compongono un quadro quasi completo degli scambi
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clientelari, delle somme di danaro che sono state scambiate per
accedere ai posti riservati. Si tratta di quei famosi lavoratori
intervistati nella trasmissione televisiva «Report», che tanto
fece scalpore. Nella trasmissione si dipingevano e apparivano come
vittime, non messe in condizione di lavorare. La realtà è ben
diversa. Vediamo le dichiarazioni dell’ex commissario Catenacci.
INIZIO CIT.
L’operazione risale al 1999-2000. Si trattava di lavoratori
cosiddetti socialmente utili o di disoccupati di altro tipo, di
cui alcuni avevano una certa fedina penale, i quali sono stati
assunti a tempo determinato per poi passare inopinatamente a un
tipo di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a causa di una
delibera firmata da un subcommissario nell’estate 2000. I
lavoratori sono stati suddivisi o – come si dice – spalmati in 18
consorzi. Preciso che molto spesso si tratta di consorzi nati per
comodità di qualcuno, per trovare posto a personaggi trombati in
precedenti incarichi politici. Si tratta comunque di consorzi
aperti in alcune circostanze anche a società private che lavorano
insieme all’ente pubblico; di questi consorzi fanno parte tutti i
comuni del territorio consortile. In alcuni casi sono pochi coloro
che lavorano.
FINE CIT.
I lavoratori inquadrati con un contratto di lavoro di
Federambiente guadagnavano allora secondo Catenacci circa 3
milioni al mese. «Se di questi 2.316, 200 lavorano è un miracolo.
Gli altri non fanno niente».
Oggi a Napoli c’è il disegno di riassorbirli nell’azienda comunale
per la raccolta dei rifiuti. Nei consorzi hanno un trattamento di
favore, una qualifica di quarto livello, una quattordicesima
mensilità e, soprattutto, non lavorano. Nell’azienda comunale
(Asìa) il controllo sarebbe più elevato e perderebbero il quarto
livello. Sta per scoppiare un nuovo conflitto. Significativa
l’intervista concessa dall’assessore al giornalista de La
Repubblica. «Quando i camion sono stati mandati dall’Asìa dopo
dieci giorni sono stati rotti, le centraline, i fanalini, le
coppe, per non uscire, per non lavorare. La gente è convinta,
praticamente sta lì come un problema sociale e qualcuno deve dare
da mangiare. È chiaro poi la terza attività, il secondo mestiere,
quelli guadagnano più di me e di voi: chi c’ha la bancarella, chi
il negozio, chi fa altre attività. E va a domandare a quelli che
devono gestire quante minacce hanno ricevuto»
18.La spesa per questi lavoratori è di «60 milioni di euro l’anno che
gravano sui fondi della gestione commissariale». Oltre ai
lavoratori sono stati affidati ai consorzi gli automezzi per
gestire materialmente la raccolta. «Sono stati comprati automezzi
per centinaia di milioni» e risulta «che alcuni di questi siano
inoperosi ed altri siano dati in uso a strane società, pubbliche o
private. Se si dovranno fare i conti delle spese per la raccolta
differenziata, credo che emergeranno cifre enormi delle quali, per
il momento, non si può neanche dare il rendiconto» (dichiarazioni
del commissario Catenacci)
19.INIZIO CIT.
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Il numero di veicoli rubati è tra le quaranta e le cinquanta unità
[…] Molti di questi automezzi […] non sono neppure utilizzati,
numerosi sono invece male utilizzati, nel senso che, invece di
venir impiegati per la raccolta differenziata, sono adoperati per
quella ordinaria: attualmente è in corso una subinchiesta per
verificare se molti di essi siano stati affidati a società a loro
volta pagate dai comuni per i servizi a questi resi. In altri
termini, le irregolarità riguarderebbero il fatto che molte
società esercitano il servizio di rimozione di nettezza urbana con
automezzi di proprietà del commissario di Governo, facendone per
giunta pagare l’uso ai Comuni […] Orbene, a fronte di tale
notevole corredo di voci di spesa riconducibili all’avvio della
raccolta differenziata, voci che, complessivamente, raggiungono
quasi il 50% dell’intero bilancio commissariale al 12 marzo 2004,
le percentuali di raccolta differenziata, nel periodo 2003-2004,
vanno dal 13,4% della provincia di Salerno al 4,8% della provincia
casertana, passando per il 5% della città di Napoli. Né sembra che
possa invocarsi a comoda, quanto superficiale, giustificazione una
sorta di invincibile ritardo culturale che segna le comunità
campane; se è vero, come è vero, che vi sono molteplici comuni in
cui le percentuali di raccolta differenziata viaggiano stabilmente
al di sopra dei parametri indicati dal decreto Ronchi» (relazione
parlamentare 2006).
FINE CIT.
Sono i consorzi stessi a presentarsi come strutture inefficienti,
inutili e clientelari. Inefficienza e spreco di danaro pubblico in
alcuni casi si sono trasformati in vere e proprie truffe
organizzate con personaggi di dubbia correttezza. È il caso di
Mondragone emerso nel 2007.
La società mista Eco4, società pubblica per il 51%, era impegnata
nel servizio di raccolta dei rifiuti in 18 comuni, quelli del
consorzio Caserta4. Attraverso «una sofisticata ingegneria
finanziaria» il privato drenava gli utili dal pubblico con fatture
false: le finte spese riportavano i conti alla pari. «– Abbiamo
avuto 250.000 euro. – Qui ci vuole subito una fatturella!» Questo
il dialogo tra un impiegato e un dirigente emerso da una
intercettazione telefonica. «La parte pubblica della gestione
consentiva di aggirare le norme della contabilità di stato, quella
privata assorbiva il denaro sistemando i conti con fatture false
per 910.000 euro». Quando poi gli amministratori della decotta
Eco4 hanno deciso di disfarsi dell’azienda, l’hanno venduta al
Consorzio Caserta4, gonfiando il valore dell’impresa con una
perizia truccata, procurata da compiacenti funzionari della Banca
Nazionale del Lavoro. «Quello che valeva 1, risultava 1000, spiega
un investigatore. - Hanno venduto il nulla, quindi. - Il prezzo: 9
milioni e 100.000 euro, 18 miliardi di vecchie lire per una
scatola vuota. Ecco come sono stati divorati i milioni
dell’emergenza rifiuti»
20.Ma non basta. Personaggio di snodo nella vicenda è Giuseppe
Valente, presidente della Eco4 e successivamente del Consorzio
Caserta4 , che si rivela, dalle attente indagini della
magistratura, un’interfaccia fra politici, amministrazione
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comunale di Mondragone attraverso il sindaco stesso, i gruppi
imprenditoriali che partecipano alla raccolta dei rifiuti, e i
gruppi camorristi della zona, i La Torre di Mondragone e i
Bidognetti di Casal di Principe. Valente fungeva da mediatore per
le richieste estorsive come per le assunzioni clientelari, che
assicuravano da un canto la permanenza degli equilibri politici
nel consiglio comunale e dall’altro un buon rapporto con i clan.
Fra le assunzioni quella del figlio di un boss come coordinatore
della raccolta dei rifiuti.
Dopo tutto questo con il decreto legge del maggio 2007 si
ripropongono di nuovo i consorzi , obbligando i comuni ad affidare
a loro il ciclo della raccolta differenziata. Così recita uno
degli articoli del decreto:
INIZIO CIT.
1. I comuni della regione Campania sono obbligati ad avvalersi, in
via esclusiva, per lo svolgimento del servizio di raccolta
differenziata, dei consorzi costituiti ai sensi dell’articolo 6
della legge della regione Campania 10 febbraio 1993, n. 10, che
utilizzano i lavoratori assegnati in base all’ordinanza del
Ministro dell’interno delegato al coordinamento della protezione
civile n. 2948 del 25 febbraio 1999, pubblicata nella
GazzettaUfficiale n. 50 del 2 marzo 1999. 2. Sono fatti salvi,
limitatamente alla durata ivi prevista, i contratti già stipulati
alla data di entrata in vigore del presente decreto, tra i comuni
e i soggetti, anche privati, per l’affidamento della raccolta sia
del rifiuto differenziato che indifferenziato
21.FINE CIT.
Significative le critiche che il sindaco di Caserta esprime a
questo proposito in una lettera pubblicata dal «Corriere del
Mezzogiorno», che riporto quasi integralmente.
INIZIO CIT.
Il decreto impone ai comuni di affidare il servizio di raccolta
differenziata ai consorzi. Ma a quale prezzo? Il decreto non dice
nulla su questo punto: non predetermina la misura del
corrispettivo, non prevede un meccanismo per stabilirlo in modo
oggettivo, non consente ai comuni di verificare la congruità delle
richieste del consorzio affidatario. In teoria, un consorzio
potrebbe sparare una cifra spropositata e fuori mercato e il
comune, ciò nonostante, sarebbe costretto ad accettarla per legge!
E la cosa è tanto più grave perché lo stesso decreto indica —
aspetto, questo, particolarmente gravido di amare conseguenze per
i cittadini su cui, tuttavia, l’opinione pubblica si è
probabilmente distratta dal valutarlo con particolare attenzione —
che i comuni, a partire dal 2008, dovranno applicare tariffe
idonee a garantire la «copertura integrale» dei costi di gestione
del servizio di smaltimento rifiuti, pena addirittura lo
scioglimento.
Sempre nel decreto si afferma che i consorzi devono impiegare per
la raccolta differenziata i lavoratori assunti, per effetto di
un’ordinanza del 1999, con contratto a termine per una durata
massima di dodici mesi. Ma si sa che per effetto di «discutibili
ordinanze» dei sub commissari (l’espressione è dell’attuale sub
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commissario per la differenziata) molti precari sono stati
stabilizzati mediante conversione del rapporto a tempo
indeterminato.
I consorzi che hanno assunto in modo illegale o comunque che hanno
fatto assunzioni clientelari potrebbero scaricare i costi del
personale sui comuni, gonfiando il prezzo della raccolta
differenziata. Su questo aspetto il decreto dovrebbe essere più
stringente.
Il decreto non dice una parola sui passaggi di cantiere. E i
sindacati, da parte loro, premono per trasferire ai consorzi tutti
i dipendenti delle imprese precedenti, titolari dell’appalto di
raccolta differenziata. Altro personale nei già traballanti
baracconi consortili?
Non è prevista l’impignorabilità delle somme dovute dai comuni ai
consorzi per la raccolta differenziata. Siccome i consorzi sono
dei carrozzoni che sono stati gestiti malissimo, sono pieni di
debiti e, dunque, hanno davanti creditori pronti ad agire in
giudizio con pignoramenti che, colpendo il corrispettivo dovuto
dai comuni ai consorzi per il servizio di raccolta differenziata,
impediranno che i soldi arrivino realmente ai consorzi. E senza
soldi, i consorzi come faranno la raccolta differenziata?
22FINE CIT.
L’inutilità e la diseconomicità dei consorzi vengono ribaditi
infine dalla relazione parlamentare di fine anno.
INIZIO CIT.
Due sono le voci che incidono maggiormente sulla spesa relativa
alla gestione dei rifiuti in Campania: la raccolta ed il
trasporto. Ed infatti, il costo totale della prima fase del nonciclo
dei rifiuti (comprensiva, appunto, delle attività di
spazzamento, raccolta e trasporto) è valutabile in un
range fra i500 e i 600 milioni di euro per anno, con un’incidenza di circa
96,00 euro/anno per abitante (a fronte un’incidenza pro capite
dell’intero ciclo di 134,79 euro/anno). In particolare, poi, il
solo costo delle risorse umane è pari a 60,80 euro/anno per
abitante. Se si considera che i comuni sono obbligati ad
avvalersi, in via esclusiva, dei consorzi, e della relativa
pletorica dotazione di personale, per l’organizzazione e lo
svolgimento dei servizi di raccolta differenziata, ne discende con
evidenza come attualmente sul non-ciclo pesi in modo significativo
un fattore diseconomico strutturale, rappresentato appunto dai
consorzi. Occorre, dunque, procedere, con urgenza e senza
esitazioni, al completo smantellamento delle strutture consortili,
facendo venir meno anche l’esclusiva competenza degli stessi in
materia di raccolta differenziata, e prevedendo per i lavoratori
circuiti di mobilità all’interno del piano regionale e dei
connessi piani provinciali.
FINE CIT.
Alleggerire il ciclo dei rifiuti dal peso dei consorzi, ridare
responsabilità alle amministrazioni locali, sono le
raccomandazioni dei relatori. Le discussioni che si aprono
nell’ennesima grave crisi non sembrano tenere conto delle
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raccomandazioni. Si parla ancora e sempre solo di discariche e di
inceneritori. Che dire? Il pessimismo è d’obbligo.
Commissariato e imprese. Un circolo vizioso e autoreferenziale
Ultimo punto su cui è necessario fermare l’attenzione è la
lievitazione delle spese generali nel bilancio del commissariato,
spese che comprendono gli emolumenti della dirigenza e le
consulenze. Sia la relazione del 2006 sia quella del 2007
sottolineano le cifre notevoli destinate ai compensi dei
subcommissari, non sempre scelti dopo «una valutazione attenta e
comparata delle molteplici a disposizione sul mercato» ma
piuttosto con criteri di scelta fondati più «sull’intuitu
personae» (relazione 2006). Fanno notare poi il sistematico
ricorso alle consulenze pur in presenza di un personale
qualificato e in grado di espletare i compiti affidati
all’esterno. Infine rilevano la costituzione di società miste con
le quali, attraverso l’affidamento diretto dell’appalto, si aggira
l’ostacolo della concorrenza. È il caso della società mista Pan in
cui compaiono la giunta regionale e la provincia di Napoli, che
presentava un progetto per l’istituzione di un call-center
ambientale, con un impegno di spesa di 3.098.741,39 euro,
prevedeva un acconto di un milione di euro e la promessa di
assumere lavoratori socialmente utili.
INIZIO CIT.
Nella vicenda in questione, fa notare la commissione, l’emergenza,
pure invocata, sembra essere riferibile piuttosto alla necessità
di assumere e stabilizzare una folta schiera di lavoratori
socialmente utili che all’urgenza di avviare il call-center
ambientale: la Pan, infatti, attualmente conta 210 dipendenti, di
cui 34 per call-center ambientale (Lsu regionali) e 150 per
progetto Monai della provincia di Napoli (ai quali vanno ad
aggiungersi quelli impiegati per la raccolta differenziata, e
quelli assunti dalle società Jacorossi e Smartway, dall’oggetto
sociale affine a quello di Pan, per un totale di quasi 3.000
unità). A tale ultimo riguardo, infatti, deve rilevarsi che, per
esplicita ammissione dei vertici attuali della società mista, il
call-center in questione è pressoché inattivo (quattro o cinque
chiamate al giorno) e del tutto sconosciuto agli stessi
interlocutori istituzionali della struttura commissariale, quali,
ad esempio, i consorzi di bacino. Non solo. Nel medesimo periodo,
il Commissariato risulta aver avviato un’altra esperienza di callcenter,
nella materia degli inerti (cosiddetto progetto
«Eurecho»), aggiudicata alla associazione temporanea di imprese
«Edilcamion e Skippy» e poi gestito da «Pomigliano Ambiente»
(relazione parlamentare 2006).
FINE CIT.
La relazione finale del 2007 ribadisce le accuse durissime al
commissariato straordinario «le cui inefficienze strutturali si
sono rivelate, lungo questi anni, di tale entità da pregiudicarne
in modo irreversibile operatività ed efficacia». Piuttosto che
© 2008 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti riservati. 17
risolvere la crisi, la struttura ha speso per sostenere il suo
apparato, e ha finito per dirottare «parti consistenti delle
risorse per la propria autosussistenza, assumendo l’aspetto di un
orpello inutile e dannoso»
23. La raccomandazione, già contenutanelle relazioni precedenti, è quella di sciogliere senza indugi il
commissariato e i consorzi. Ma una ennesima crisi della raccolta,
proprio nei giorni delle feste natalizie
24, permette ancora unavolta ai vertici delle istituzioni locali e nazionali di
riproporne la proroga. Nel frattempo i responsabili di un
fallimento così grave e clamoroso, che non hanno mai fatto una
seria autocritica sul loro operato, si appellano ai cittadini
perché sopportino i disagi e accettino, quelli dei paesi
designati, di accogliere ecoballe e impianti.
In conclusione
Ci troviamo di fronte a una fitta rete di responsabilità e a una
catena di decisioni che, in un circolo vizioso, hanno condotto
sempre più lontano dagli obiettivi preposti.
Come ha rilevato con una felice espressione l’ultimo relatore
della commissione rifiuti, Roberto Barbieri, «un’emergenza che si
protrae ormai da quattordici anni costituisce un evidente
ossimoro». L’emergenza dovrebbe rappresentare un momento di
difficoltà in un sistema strutturale complesso. In questo caso la
struttura manca del tutto. Non ha senso parlare di emergenza e di
straordinarietà. «Un ciclo centrato sulle discariche, oltre che
contrario alla normativa europea, è in realtà un non-ciclo. Esso
rappresenta la perpetuazione del sistema tradizionale di
smaltimento dei rifiuti in Campania, con una novità non di poco
conto: la possibilità di utilizzare i poteri extra ordinem propri
dell’istituto del commissariamento. Il che ha significato una
progressiva estromissione dai circuiti gestionali degli ordinari
meccanismi di controllo» (relazione 2007).
Attraverso il commissariamento straordinario si è creato un
sistema chiuso e autoreferenziale che è cresciuto su se stesso.
Sono proliferate le spese: negli ultimi dieci anni si sono spesi
circa 780 milioni di euro all’anno in emolumenti, consulenze,
affitti degli immobili ecc., si sono destinati invece unicamente
29 milioni all’anno per investimenti (relazione 2007). L’emergenza
ha permesso di saltare procedure trasparenti, di scegliere
consulenti e imprese al di fuori della concorrenza, evitare la
mediazione con le popolazioni e con le istituzioni locali,
annullandone le capacità gestionali. Ha infine prodotto decisioni
unilaterali, non misurate con percorsi e contesti concreti. Non
c’è stata capacità di previsione e non c’è stato controllo. Come
fa rilevare Giovanni Laino «l’inefficacia dipende anche da una
straordinaria assenza di cura nella programmazione e nella
previsione. Alcuni effetti non sono per niente inattesi: risultano
prevedibili a partire da un lavoro molto approssimativo svolto dai
tecnici e dall’imposizione di decisioni sciagurate. Il caso della
crisi dei rifiuti in Campania si può inserire fra quelli in cui è
© 2008 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti riservati. 18
forte l’intreccio fra gravi carenze del contesto, condotte
illecite e una scadente cultura della pianificazione»
25.Si è realizzato un sistema che a ogni snodo presentava
inefficienze e mancanze, e in queste inefficienze si è infiltrata
l’opera della camorra: gli appaltatori dei trasporti e dello
smaltimento hanno subappaltato ad altre ditte, che a loro volta
hanno subappaltato a ditte ancora più piccole, in una catena
incontrollabile in cui si sono con facilità inserite le
organizzazioni criminali locali, che controllano, loro sì, il
territorio e hanno il monopolio sul movimento terra in provincia
di Napoli e Caserta.
Ma, si deve sottolineare, non è stata la camorra a indirizzare il
piano e a farlo fallire. La camorra, esplicando un suo ruolo
classico, ha gestito i gap all’interno del sistema e ha
approfittato della storica incapacità di controllare i risultati
del proprio operato delle istituzioni e delle amministrazioni
pubbliche campane. All’origine del disastro ambientale
verificatosi c’è poi l’operato di un’impresa nazionale, di un
gruppo di potere molto forte: l’Impregilo è società legata al
gruppo Fiat, ha vinto l’appalto del ponte sullo stretto di
Messina, ha un ruolo importante nei lavori dell’Alta Velocità.
L’azienda ha vinto una gara dubbia, su cui tuttora la magistratura
indaga; ha avviato la costruzione di un termovalorizzatore che è
in realtà un inceneritore, sette impianti di Cdr che producono
ecoballe di rifiuti triturati, ha scaricato i costi delle sue
inefficienze sul commissariato straordinario. Un piano, una gara,
un contratto sbagliati, un’esecuzione ancora peggiore, coniugati
con l’inefficienza totale della pubblica amministrazione, sono la
causa prima del fallimento del ciclo dei rifiuti campani.
Come nel ciclo dei rifiuti nocivi c’è una stretta complementarietà
fra interessi nazionali e interessi locali. Imprese nazionali e
internazionali hanno tratto profitti dalla politica dell’emergenza
in cambio di una pessima prestazione, come già avvenne in Campania
per il terremoto del 1980. D’altro canto gruppi dirigenti locali,
attraverso la struttura del commissariato, hanno potuto gestire un
rilevante flusso di spesa, rafforzando il proprio potere ed
estendendo la rete di amici e clienti. A farne le spese sono stati
il territorio e i cittadini comuni, quelli che non avevano poteri
di pressione e scambi da attuare per fare sentire la propria voce,
e che oggi, paradossalmente, sono criminalizzati se protestano e
sono chiamati ad assumersi le responsabilità di tanto disastro.
Note
1
Nata e laureata a Torino in Storia, GABRIELLA GRIBAUDI vive a Napoli dal 1974,dove è arrivata in qualità di borsista del Centro di Specializzazione e Sviluppo
per il Mezzogiorno di Portici, allora diretto da Manlio Rossi Doria. Attualmente è
professore ordinario di Storia contemporanea presso L’Università di Napoli
Federico II. Dal 2001 al primo novembre del 2007 ha diretto il Dipartimento di
Sociologia della stessa università. È membro della direzione della rivista
«
Quaderni storici». Ha lavorato e lavora a ricerche nel campo della storia© 2008 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti riservati. 19
sociale del Mezzogiorno. Si è anche occupata di temi metodologici quali le
relazioni fra storia e scienze sociali, fra micro e macro-contesti, fra memoria
e storia. Negli ultimi anni ha condotto una grande ricerca sul tema
della seconda guerra mondiale e delle violenze ai civili: una storia vista
attraverso il confronto continuo tra la documentazione ufficiale e l’esperienza
di donne e uomini, tra una visione dall’alto e una visione dal basso degli
eventi. Da questa ricerca è scaturito il volume
Guerra totale. Tra bombe alleatee violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44 (Bollati Boringhieri),
con cui ha vinto il Premio Napoli per la saggistica. Attualmente dirige una
ricerca su Napoli e i circuiti criminali e illegali dal dopoguerra a oggi. Tra i
suoi altri lavori:
Mediatori. Antropologia del potere democristiano nelMezzogiorno (Rosenberg e Sellier, 1991
2); A Eboli. Il mondo meridionale incent’anni di trasformazione (Marsilio, 1990);
Donne, uomini, famiglie. Napoli nelnovecento (L’ancora del mediterraneo, 1999);
Terra bruciata. Le stragi nazistesul fronte meridionale (L’ancora del mediterraneo, 2003).
2 Il giudice per le indagini preliminari Rosanna Saraceno scrive nell’ordinanzaa proposito delle responsabilità del commissariato straordinario con particolare
riferimento alla gestione di Bassolino (2000-2004): «L’inerzia a fronte della
consapevolezza e della precisa conoscenza delle inadempienze, vista la mole di
segnalazioni ricevute, merita di per sé sola attenta valutazione: non solo
perché non si è fatto ricorso al più grave rimedio della risoluzione del
contratto, quanto per l’assenza di qualsivoglia reazione, assolutamente doverosa
a fronte degli esiti dei controlli della stessa struttura pubblica […] Non solo
non c’è traccia di una formale contestazione di inadempienze riscontrate dalla
stessa struttura commissariale, ma non è stato usato neppure lo strumento della
diffida, viceversa di applicazione quotidiana durante la gestione del
commissario Catenacci» (Il brano è citato nell’articolo di Leandro Del Gaudio su
«Il Mattino» del 28.6.2007.)
3 G. Laino, Per una razionalità plurale, ibrida e contingente, responsabile eaccurata: la crisi dei rifiuti di Napoli, in corso di pubblicazione in «Archivio
di Studi Urbani e Regionali». Continua il testo: «Il sovraccarico delle
discariche comporta problemi per la loro efficienza: per l’intasamento dei
rifiuti che comporta file di attesa di camion lungo le strade di accesso,
diffusione di odori nauseabondi nei pressi della discarica, il possibile
cedimento del telo di protezione sottostante che dovrebbe evitare
l’infiltrazione del percolato nelle falde acquifere del sottosuolo».
4 Ibidem. 5 Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attivitàillecite ad esso connesse. Relazione territoriale stralcio sulla Campania.
Relatore il senatore Roberto Barbieri, 13.6.2007 (d’ora in poi, in nota e nel
testo, relazione parlamentare 2007).
6 Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attivitàillecite ad esso connesse. Relazione territoriale sulla Campania. Relatore
l’onorevole Paolo Russo, 26 gennaio 2006. (d’ora in poi, in nota e nel testo,
relazione parlamentare 2006).
7 In seguito all’inchiesta della magistratura e alla rescissione del contrattocon la Fibe è previsto un
revamping dell’impianto per renderlo più moderno efunzionale, quindi meno inquinante, ma la popolazione, giustamente, non ha
alcuna fiducia in istituzioni e imprese che si sono dimostrate incapaci e
inaffidabili.
8 P. Iacuelli, Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano(
Altrenotizie.org), Napoli, 2007, p. 129. Iacuelli fa notare inoltre ilsovradimensionamento dell’impianto di Acerra, che dovrebbe trattare 3750
tonnellate al giorno, una misura estremamente elevata se la si confronta con
quella trattata da impianti simili: 1.450 tonnellate al giorno l’impianto Silla
2 a Milano, 2000 quello di Brescia, una media di 300 o 400 tonnellate gli altri
impianti italiani, come quelli di Vienna o Copenaghen (p. 117).
9 L. Del Gaudio, «Il Mattino», 26.7.2007. 10 «Corriere del Mezzogiorno», 24.11.2007. 11 P. Falco e G. Santamaria, «Il Mattino», 21.11.2007.© 2008 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti riservati. 20
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Nella relazione parlamentare di fine anno sono usate parole durissime sullavicenda. «La circostanza che l’Autorità Giudiziaria abbia, sulla base degli
stessi atti giacenti presso gli uffici del Commissariato, ricostruito ed
accertato l’inadeguatezza ambientale del sito, è sintomo desolante, se non del
pieno e diretto coinvolgimento nell’attività di falsa precostituzione della
realtà, cosa che spetterà alla magistratura accertare, quanto meno
dell’incapacità della struttura commissariale a leggere le proprie stesse
carte». Si sottolinea anche il grave atteggiamento dell’Arpac (Agenzia Regionale
per la Protezione dell’Ambiente): «Secondo quanto emerso nel corso dell’indagine
è intervenuta con inescusabile ritardo a segnalare le criticità ambientali
legate all’utilizzo del sito» (Relazione della Commissione Parlamentare
d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Relazione territoriale sulla Campania,
19.12.2007).
13 «La Repubblica-Napoli», 21.12.2007. 14 Concetto questo che viene ribadito anche nella Relazione Parlamentare deldicembre 2007, dove si denuncia l’inaffidabilità degli organi di valutazione e
controllo, necessari per dare autorevolezza tecnico-scientifica agli interventi
legislativi e di amministrazione attiva; si sottolineano gli effetti devastanti
provocati da scelte legislative invasive per le comunità locali «intervenute a
valle di procedimenti viziati da false rappresentazioni della realtà indotte
proprio da quegli organi cui è affidato il compito di veicolare una descrizione
dei fatti immune da ogni contraffazione».
15 G. Abate, «Corriere del Mezzogiorno», 28.6.2007. 16 Laino, Per una razionalità plurale, cit. 17 Procura della Repubblica, Tribunale di Napoli, Direzione DistrettualeAntimafia (Dda), Decreto di fermo nei confronti di Mario Di Biasi e altri, P.M.
Raffaele Marino e Sergio Amato, 27.5.2006.
18 Dichiarazioni dell’assessore al comune di Napoli, Gennaro Mola, al giornalistaRoberto Fuccillo, «La Repubblica-Napoli», 8.5.2007
19 Audizione del commissario straordinario Corrado Catenacci presso lacommissione bicamerale rifiuti, 2./7.2004.
20 «La Repubblica-Napoli», 4.4.2007. 21 Articolo n.4 del Decreto-Legge n.61 dell’11 maggio 2007. Interventistraordinari per superare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti
nella regione Campania e per garantire l’esercizio dei propri poteri agli enti
ordinariamente competenti.
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Lettera del sindaco di Caserta, Nicodemo Pettoruti, al «Corriere delMezzogiorno», 3.6.2007.
23 Relazione Parlamentare, 19.12.2007. 24 Lo sciopero nazionale degli autotrasportatori, cui si è aggiunto il bloccodelle attività degli impianti di Cdr da parte dei lavoratori che non avevano
ricevuto la tredicesima, ha prodotto quella che viene definita «l’emergenza
rifiuti più grave degli ultimi 14 anni». Nel momento in cui sto chiudendo questo
articolo in Campania si trovano circa 100.000 tonnellate di rifiuti nei siti di
stoccaggio e per strada («La Repubblica-Napoli», 23.12.2007.
25 Laino, Per una razionalità plurale, cit.