GIULIO TARRO
Bioetica e vaccinazioni
Relazione
al Convegno Bioetica e scelta terapeutica
Aula
Magna della Regione Emilia Romagna
Una
riflessione sulle implicazioni bioetiche delle vaccinazioni non può prescindere
da una, se pur breve, disamina degli aspetti medici, storici, matematici dell’immunoprofilassi.
Va da sé che questo dibattito trova oggi particolarmente attenta l’opinione
pubblica, frastornata da polemiche, spesso pretestuose, che conquistano le prime
pagine dei giornali. Da un lato vi sono coloro che sono stati definiti da non
pochi giornali “i crociati del fronte antivaccino”: settori del movimento
antivivisezionista, omeopati, associazioni di famiglie che hanno avuto i loro
cari rovinati dalle complicanze delle vaccinazioni... che in nome di una
presunta crisi dei paradigmi scientifici arrivano a teorizzare una medicina
“non farmacologica”; sull’altro “fronte” vi è una parte del mondo
medico, veementemente sostenuta da alcune multinazionali farmaceutiche, che
pretenderebbe di affidare all’immunoprofilassi la sconfitta di ogni malattia
infettiva. Tra queste due posizioni ve n'è un’altra che, pur non negando
l'efficacia delle singole vaccinazioni, contesta l'obbligatorietà stabilita
dalla legge italiana per alcune di esse, richiamandosi all'esempio dei paesi
anglosassoni.
Ma
al di là di posizioni oltranziste che, qualche volta, conquistano uno spazio
sui mass media, il dibattito sulle vaccinazioni rivela profonde implicazioni
etiche collegandosi con quello del diritto alla libera scelta che dovrebbe
contrassegnare tutti gli interventi di tutela della salute o dell'integrità
personale; un principio questo certamente giusto ma potrebbe estendersi anche al
rifiuto delle leggi che puniscono come reato l'uso personale di droghe pesanti e
leggere o alle norme che impongono l'uso di caschi e le cinture di sicurezza. La
questione è indubbiamente avvincente. E' certamente vero che chi si procura una
malattia o una lesione, indirettamente danneggia tutta la società, sul piano
economico e delle relazioni tra individui ma sarebbe, comunque, pericoloso
concedere allo Stato il potere paternalistico di decidere che cosa è bene o
male per tutti i cittadini. Seguendo questo principio, infatti, si finirebbe per
proibire le sigarette, i superalcolici, o, addirittura, razionare le ore di
televisione così come fanno i genitori con i bambini.
Vi
è da dire, comunque, come vedremo meglio in seguito, che l’immunoprofilassi
ha una sua specificità non essendo una scelta che comporta benefici e rischi
solo per chi la assume ma espone a benefici o rischi l’intera collettività.
Da questo punto di vista, nel campo delle vaccinazioni solo l'obbligo può
impedire che si crei una minoranza di obiettori privilegiati ai quali andrebbero
tutti i vantaggi di una vaccinazione di massa, senza alcun rischio. Per di più,
nel campo dell’immunoprofilassi, essendo le vaccinazioni destinate
prevalentemente ai minori, la decisione non viene presa dal diretto interessato
bensì dai suoi genitori, i quali, com'è noto, in uno stato di diritto, possono
sempre essere esautorati, dallo Stato, dalla loro potestà quando non tutelano
adeguatamente i loro figli.
Come
si evince, la controversia sull’obbligatorietà o meno delle vaccinazioni
rimanda a vaste considerazioni etiche e culturali ma, in Italia, questo
dibattito rischia di far passare in secondo piano il grave fenomeno delle false
certificazioni, che non pochi pediatri compiacenti stilano a favore dei
renitenti quando non sono, addirittura, i medici stessi, che arrivano a
consigliare ai genitori di non vaccinare i figli. E purtroppo non si tratta di
casi sporadici se si pensa che, secondo i dati dell’Istituto Superiore di
Sanità, in alcune regioni del meridione la percentuale dei ritardi nelle
vaccinazioni supera il 50 per cento. Del resto, va detto che le inadempienze più
gravi vanno a carico dello Stato. E se da un verso la stragrande maggioranza
delle ASL non ha mai messo in atto un controllo incrociato tra le liste
vaccinali e quelle anagrafiche, per smascherare così gli inadempienti,
d’altra parte quasi niente è stato fatto per applicare compiutamente la legge
210 del 25 febbraio 1992 che, ponendo a carico dello Stato il risarcimento in
caso di danni accertati, imponeva di attuare entro sei mesi dall’approvazione
della legge progetti di informazione pubblica sui possibili rischi delle
vaccinazioni.
L’”enigma”
delle epidemie
Com’è
noto, la vaccinazione si è imposta in Occidente grazie ai successi ottenuti da
questa contro il vaiolo. In realtà non è affatto sicuro che sia stata la
vaccinazione a debellare questa temibile infezione o se, invece, abbiano
contribuito una serie di concause. Più in generale, ancora oggi, non esiste tra
gli epidemiologi e gli infettivologi unanimità sui motivi che hanno portato
alla scomparsa delle epidemie.
L’esempio
più famoso di questa diatriba è data dal “mistero” che ancora oggi avvolge
la scomparsa delle catastrofiche epidemie di
peste che falcidiavano in passato intere nazioni e che si sono ridotte
oggi a sporadici episodi come quello registrato recentemente a Seurat in India.
La peste (determinata da un bacillo, lo Yersinia
pestis, che può essere veicolato, nella forma bubbonica, dalla pulce del
ratto e, nella forma polmonare, dal respiro) è stata responsabile nel 1348 di
una epidemia che nel giro di tre anni uccise in Europa almeno 50 milioni di
persone, e si è riproposta da allora, con una periodicità di qualche decennio,
nel nostro e in altri continenti provocando ecatombi. D’un tratto, comunque,
la peste si affievolisce fino a scomparire del tutto. Sul perché di questa
scomparsa sono state fatte molte ipotesi, nessuna, comunque, pienamente
soddisfacente.
Anni
fa, ad esempio, epidemiologi inglesi sostennero che la ricostruzione seguita al
colossale incendio che aveva distrutto Londra nel 1666, aveva determinato
l’allontanamento dello Yersinia pestis dalla capitale, essendo da allora vietati i tetti di
paglia e le costruzioni in legno, tana preferenziale del Rattus
rattus, ospite per eccellenza della pulce Xenopsylla
cheopis, portatrice dell’infezione. In realtà questa spiegazione non
regge; infatti, già dal Duecento, nelle città italiane, francesi e tedesche
non si costruivano più case in legno e con i tetti in paglia. Un’altra
fragile ipotesi, che pure trova ampio spazio in tutti i manuali di
infettivologia è quella che vede nell’allontanamento dalle città del Rattus
rattus operata dall’invasione del
Rattus norvegicus (che ospita la pulce
Ceratophyllus fasciatus, meno sensibile all’infezione pestosa). In realtà
l'invasione del Rattus norvegicus in
Europa risale al 1720, mentre già a partire dalla seconda metà del
diciassettesimo secolo la peste tendeva a scomparire dal nostro continente.
Ancora più evanescente è l’ipotesi secondo la quale una piccola glaciazione,
avvenuta nel diciassettesimo secolo, avrebbe determinato una moria di pulci o
quella secondo la quale l’abitudine di cambiarsi abito prima di coricarsi,
instauratasi in Europa nel diciassettesimo secolo, avrebbe diminuito il contatto
tra uomo e pulce. Ovviamente il merito della medicina nella scomparsa della
peste, considerando che fino agli inizi di questo secolo si ignorava addirittura
l’eziologia dell’infezione, è stato del tutto inesistente e quello che
resta ancora oggi il “mistero” della scomparsa della peste, al pari
dell’enigma della influenza “spagnola" (20 milioni di morti nei primi 6
mesi del 1919) dovrebbe forse spingere ad una maggiore umiltà il mondo della
Scienza nei confronti delle malattie infettive.
La
“sconfitta” del vaiolo
Ma
parliamo del vaiolo, la cui scomparsa, avvenuta nel 1977, costituisce ancora
oggi il più grande successo della Medicina. Le testimonianze su questa malattia
si perdono nella notte dei tempi: antichissimi religioni africane, risalenti ad
almeno il 3.000 a. C., avevano divinità ad esso riservate; in India, dove si
credeva che la dea Shitala Mata possedesse il dono di proteggere i malati di
questo morbo, numerosissimi templi ci testimoniano il terrore popolare per
questa malattia capace di falcidiare in un mese milioni di persone lasciandone
altrettante col volto sfigurato da cicatrici. Il vaiolo, nato probabilmente da
una mutazione di un orthopoxvirus che da sempre è presente negli animali,
possiede la sinistra capacità di trasmettersi direttamente da uomo a uomo
attraverso le microscopiche goccioline emesse con la respirazione. Questo
meccanismo e l`altissimo tasso di mortalità di questa infezione ha determinato
disastri paragonabili solo a quelli prodotti dalla peste; nel 1727, per dirne
una, morivano di vaiolo 20.000 persone a Parigi, 65.000 a Napoli, 58.000 a
Berlino 58.000 a Londra...
Il
vaiolo cominciava con una febbre seguita da brividi, atroci dolori nella regione
sacro lombare, nausea e tachicardia; comparivano a questo punto le tristemente
famose eruzioni esantematiche, localizzate soprattutto al collo e alle mani che
si trasformavano ben presto in vescicole dure che davano origine a pustole
nerastre; era il “vaiolo nero" o “emorragico” la forma peggiore del
morbo che conduceva inevitabilmente alla morte. Nei casi “benigni”, invece,
le vescicole si ricoprivano di croste destinate a trasformarsi in deturpanti
cicatrici. Nessun farmaco riusciva e riesce ad arrestare questa infezione, I'unico
rimedio restava e resta tuttora la vaccinazione, una tecnica conosciuta da
millenni tra le popolazioni asiatiche e importata in Europa, nel 1714, da un
medico greco, Emanuele Timoni, e successivamente, con più fortuna dal medico
scozzese Edward Jenner nel 1776.
Il
vaiolo, agli inizi di questo secolo, si era progressivamente estinto in Europa e
nell'America del Nord continuando comunque a manifestarsi nel resto del mondo.
Nel 1958 durante una riunione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Victor
Shadnov, vice ministro della Sanità dell’Unione Sovietica, propose, con gran battage pubblicitario, una campagna di eradicamento totale del
vaiolo su tutto il pianeta da realizzarsi con una vaccinazione capillare
condotta fin nei più sperduti villaggi. Probabilmente non era solo il senso
umanitario a spingere Shadnov a profferire una simile proposta; anni prima gli
Stati Uniti avevano proposto di eradicare la malaria dal nostro pianeta,
iniziativa che si era tradotta in una campagna di sterminio delle zanzare subito
fallita; se la “campagna vaiolo” avesse avuto successo, quindi, l'Unione
Sovietica avrebbe potuto propagandare la scomparsa del morbo come un’ennesima
“vittoria del socialismo”. Nonostante queste strumentalizzazioni che già
venivano propagandate sui mass media legati al Cremlino, la “campagna
vaiolo” partì con l'entusiasmo di tutti i paesi. Nel 1976 la vaccinazione
aveva coperto tutta la popolazione mondiale e nella città di Merca in Somalia
fu registrato il nome di colui che doveva essere l’ultima vittima del vaiolo:
Ali Maow Maalin, un cuoco di 23 anni. Per un anno il mondo scientifico stette
con il fiato sospeso in attesa di nuovi casi di vaiolo e nonostante
l'Organizzazione Mondiale della Sanità garantisse un premio di 30.000 dollari a
chiunque avesse segnalato un nuovo caso, il vaiolo risultava scomparso.
Finalmente, il 9 dicembre 1977, tra entusiasmi e festeggiamenti,
l'Organizzazione Mondiale della Sanità certificò la scomparsa del vaiolo dalla
faccia della Terra.
Nonostante
gli entusiasmi suscitati, per le particolari condizioni che 1'hanno resa
possibile, la storia dell'eradicazione del vaiolo non può, comunque, ritenersi
paradigmatica per le altre malattie infettive, come sta peraltro dimostrando il
caso della poliomielite, che nel 1988 1'OMS aveva dichiarato eradicabile,
lanciando un programma da condurre in porto nell'anno 2000 e che, invece, è ben
presto naufragato tra insuccessi e polemiche. Uno sguardo più ravvicinato alla
situazione epidemiologica e medico‑biologica della poliomielite accredita,
tra l’altro una situazione paradossale: sono circa 200‑300 mila ogni
anno i casi di questa infezione (la stragrande maggioranza tra bambini sotto i
tredici anni) nei paesi dell'Asia meridionale e dell'Africa subsahariana che
conoscono una vaccinazione di massa, mentre la poliomielite risulta una
eccezione nei paesi a capitalismo avanzato nei quali la vaccinazione antipolio
viene comunemente rifiutata.
Ma
torniamo all'eradicazione del vaiolo. Più delle intenzioni dell'uomo, furono
alcuni eventi accidentali collegati alle caratteristiche biologiche e cliniche
di questa malattia a far sì che essa abbia potuto essere eliminata. Dal punto
di vista della storia naturale della vaccinazione antivaiolosa, l'evento più
importante sembra, infatti, non sia stata né l'esperienza di Edward Jenner, né
le successive migliorie tecnologiche nella preparazione del vaccino. Si sa per
certo che intorno al 1800 mentre William Woodville, che si considerava il vero
scopritore dell'effetto protettivo del cowpox e andava infangando la fama di
Jenner, vaccinava allo Smallpox Hospital di Londra in pieno ambiente vaioloso si
ebbe una contaminazione dei ceppi di vaccino con vaiolo umano, che provocò
numerosi casi di vaiolo in coloro che venivano vaccinati. Molto probabilmente,
in quella situazione si verificò anche una ricombinazione genetica fra il virus
del vaiolo umano e quello del vaiolo vaccino con la comparsa di una nuova specie
virale. Ed è questa la spiegazione più plausibile del fatto che, come risultò
chiaramente nel 1939, i ceppi utilizzati per la vaccinazione erano diversi dai
ceppi di cowpox. Peraltro il virus vaccino è più simile geneticamente al virus
del vaiolo umano che al cowpox, il che confuterebbe la spiegazione alternativa
di una mutazione spontanea e spiegherebbe la sua eccezionale e costante
efficacia nell'indurre l'immunizzazione.
Le
implicazioni che alcuni storici della medicina hanno ricavato da questa scoperta
è che la vaccinazione in senso jenneriano non ha svolto alcun ruolo nella
riduzione delle epidemie e che il ruolo più importante l'ha giuocato la
vaiolizzazione; è quindi probabile che il cowpox inizialmente inoculato da
Jenner scomparve quasi subito ed ebbe l'unica funzione di dare inizio e far
accettare una pratica sanitaria. Del resto, le cronache sanitarie del secolo
scorso riportano numerosi casi di vaiolo conseguenti alla vaccinazione e i
movimenti contro la vaccinazione non avevano difficoltà a mettere in luce i
rischi collegati a questa pratica. A parte gli avanzamenti nelle tecniche che a
partire dal vaccino glicerinato introdotto nel 1850 in Gran Bretagna, fino allo
sviluppo nel 1935 di un metodo di liofilizzazione, che si rivelarono di
fondamentale importanza per facilitare la preparazione e la conservazione dei
vaccini e consentirne l'uso nei paesi tropicali, furono soprattutto una serie di
condizioni medico‑biologiche e una particolare strategia epidemiologica a
rendere possibile l'eradicazione del vaiolo. In primo luogo benché il vaiolo
fosse una malattia grave e molto contagiosa, era facilmente diagnosticabile e
presentava molto raramente casi subclinici. Inoltre il virus, che non aveva un
tasso di mutazione elevato, non rimaneva nell'organismo, provocando uno stato di
infezione latente, dopo la scomparsa dei sintomi clinici. Infine, mancavano
quasi del tutto serbatoi virali in ospiti non umani.
Ma
l’innegabile assenza di casi di vaiolo umani negli ultimi decenni non
significa che questa malattia sia da considerare un capitolo definitivamente
chiuso della storia dell’umanità. Esistono, infatti, diverse specie di
poxvirus animali che, seppure limitatamente, sono patogeni anche per l’uomo.
Finora gran parte di queste infezioni erano in passato controllate dalla
vaccinazione antivaiolosa ma, in un prossimo futuro, potrebbero causare gravi
problemi sanitari con forme di “vaiolo” atipiche, soprattutto in
considerazione della per essi allettante nicchia ecologica costituita da cinque
miliardi di esseri umani.
La
paura delle vaccinazioni
Sin
dai loro esordi, le campagne di vaccinazione rivelarono una circostanza che pose
non pochi problemi etici e, addirittura, di ordine pubblico. Come vedremo meglio
in seguito, una qualsiasi vaccinazione per potere proteggere una comunità deve
interessare una grande percentuale degli individui che la compongono; in taluni
casi, comunque, il vaccino può provocare gravi effetti sulla salute delle
persone sottoposte alla vaccinazione. Va da sé che i progressi nella
preparazione dei vaccini hanno progressivamente ridotto questo rischio, che oggi
appare estremamente ridotto anche se non del tutto irrilevante. Non così ai
tempi di Edward Jenner.
I1
14 maggio 1796, Edward Jenner inoculava il vaiolo delle vacche del Gloucester al
piccolo James Phipps. L’intuizione del giovane medico doveva rivelarsi feconda
di sviluppi. Egli aveva osservato che l'inoculazione del pus prelevato da
individui affetti da vaiolo dei bovini, o vaccino, poteva produrre
l'immunizzazione contro il vaiolo umano senza gli effetti a volte letali
conseguenti alla pratica, allora diffusa, dell'inoculazione di pus di vaiolo
umano. Un paio di giorni dopo, quindi, infettò il bambino con pus di vaiolo
umano senza che questo facesse sviluppare la temibile infezione. Nel 1798
pubblicò i risultati di questo e altri esperimenti nel volumetto An
Inquiry into the Causes and Effects of the Variolae Vaccinae
che segna la nascita dell’immunoprofilassi. Nel giro di qualche
decennio la pratica della vaccinazione, grazie anche alla pubblicità datale da
alcuni membri della famiglia reale che si sottoposero al vaccino, cominciò a
diffondersi in tutta la Gran Bretagna, trasformandosi ben presto in una legge
del 1871 che ne prevedeva l’obbligatorietà.
Di
pari passo, soprattutto con l’allungarsi della lista dei morti tra le persone
sottoposte a vaccinazione, si estese un forte movimento di protesta. Nel 1880 fu
fondata la “Lega internazionale degli antivaccinatori” che forte del motto
«chi sta bene non ha bisogno del medico» e contrapponendo alla vaccinazione
non meglio precisate misure di “isolamento e disinfezione” per sconfiggere
il vaiolo, cementò un fronte compatto di “abolizionisti”. Come sempre in
questi casi fu l’emotività del momento a dettare le leggi. Nel 1892, con la
riduzione progressiva delle epidemie di vaiolo e le piazze piene di manifestanti
che osannavano come martiri quei genitori incarcerati per aver rifiutato di
vaccinare i propri figli, il governo inglese fu costretto a proporre alla Camera
dei Comuni una legge che aboliva l’obbligo alla vaccinazione antivaiolosa. Nel
1892, il grafico dei casi di vaiolo che aveva fino a quel momento dimostrato una
netta discesa, conobbe una impennata uccidendo 501 persone. Ma fu nella città
di Leicester, epicentro del movimento abolizionista (solo il 2 per cento dei
bambini era stato vaccinato), che il vaiolo produsse stragi: nel 1893 ben 146
bambini morirono vittima dell’infezione. Ancora peggio nella città di
Gloucester dove, su una popolazione di 41.000 persone risultavano vaccinati
soltanto 34 bambini: nel 1895 un’epidemia di vaiolo colpiva 2.000 persone
uccidendone 434. Ma furono i bambini al di sotto dei dieci anni a pagare il
tributo più pesante alla malattia. In 700 la contrassero con una mortalità
spaventosa del 41% (290 decessi). Con le cataste di morti per vaiolo che
riempivano i cimiteri il movimento abolizionista era allo sbando; la popolazione
ne assaltava le sedi pretendo subito una vaccinazione di massa. Nel giro di
qualche settimana furono eseguite 35.908 vaccinazioni e rivaccinazioni che
fermarono l'epidemia dilagante.
Svaporati
i clamori di Gloucester, il diradamento dei casi di vaiolo in Inghilterra (23
morti nel 1889, 16 nel 1890, 49 nel 1891) ridiedero fiato al movimento
abolizionista. Il 5 agosto 1898, la Camera dei Comuni approvò l'inserzione
nella legge sul vaccino di un articolo che esonerava dall'obbligo chiunque
dichiarasse, davanti ai magistrati, che la sua coscienza gli vietava di far
vaccinare i figli. Nei cinque mesi seguenti, furono rilasciati 203.414
certificati per obiezione di coscienza, su un totale di 230.147 nascite. Gli
abolizionisti ebbero di che pavoneggiarsi. Ma ancora nel 1900 in Inghilterra si
registravano 3.200 casi mortali di vaiolo.
I
primi decenni di questo secolo vedono un netto arretramento dell’incidenza
delle malattie infettive tra le cause di mortalità, determinato sostanzialmente
dal miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e da fondamentali scoperte
nel campo microbiologico; di pari passo l’affinamento dei metodi per la
produzione dei vaccini diminuisce la tossicità di questi e quindi il rischio di
gravi complicanze o addirittura di morte tra gli individui sottoposti a
vaccinazione. Dal punto di vista statistico, quindi, il rapporto rischi-benefici
della vaccinazione resta sostanzialmente immutato rispetto a quello che si
registrava ai tempi di Jenner. L’affermarsi di una nuova disciplina,
l’epidemiologia, permette, comunque di definire i modelli matematici che
regolano l’estendersi di particolari infezioni e, quindi, le strategie di
vaccinazione da porre in essere per arginarle o, addirittura, eradicarle. Questi
modelli si basano sul «principio dell'azione di massa», per cui il tasso di
propagazione di una malattia infettiva è proporzionale al prodotto della densità
degli individui suscettibili per la densità degli individui infetti. Il secondo
concetto, dimostrato matematicamente nel 1927, è che l'introduzione di un
individuo infetto in una comunità di persone suscettibili non darà luogo a
un'esplosione epidemica a meno che la densità di questi ultimi non superi un
certo valore critico. Negli anni sessanta diversi studi mostrarono quindi
che esiste una soglia di densità assoluta della popolazione perché una
malattia infettiva possa mantenersi in un'isola o in una comunità cittadina.
Per il morbillo, per esempio, è necessaria una popolazione di circa mezzo
milione di persone. Affinando i metodi di indagine sulla dinamica all'interno
delle popolazioni delle malattie infettive, si è arrivati a definire il
tasso di riproduzione dell'infezione che, per la maggior parte delle infezioni
da microparassiti, è la media dei casi secondari prodotti da un caso primario
in una popolazione suscettibile. Perché una malattia infettiva si mantenga e
si diffonda in una popolazione questo tasso deve essere superiore a 1 e per
ridurre o eradicare un'infezione bisogna portare il tasso di riproduzione al
di sotto dell'unità, attraverso una campagna di vaccinazione. Ovviamente, più
alto è in partenza il tasso, più difficile sarà eradicare l'infezione o, in
altri termini, per eliminare l'infezione deve essere più grande la
proporzione degli individui immunizzati. Secondo questi calcoli, l'eradicazione
del vaiolo fu più facile in quanto il tasso di riproduzione dell'infezione
era fra 2 e 4. Mentre per il morbillo, in cui il tasso va da 10 a 20, la
copertura immunitaria per bloccare la trasmissione deve raggiungere il
92‑95 per cento della popolazione e per la malaria sembra che la copertura
debba essere anche superiore. Il risultato teorico più interessante scaturito
da questi modelli è che non è necessario vaccinare il 100 per cento della
popolazione per eradicare un'infezione. Infatti, l'immunizzazione ha sia un
effetto diretto sia un effetto indiretto. L'effetto diretto è proteggere chi è
stato immunizzato con successo. Ma dal punto di vista dell'infezione la
popolazione ospite diventa via via più piccola e la trasmissione
parallelamente diventa meno efficace. Ne consegue che la densità effettiva
della popolazione di ospiti cadrà al di sotto della soglia e l'infezione non
sarà in grado di mantenersi a un livello di copertura più o meno vicino al
100 per cento.
Attualmente
i vaccini hanno raggiunto un soddisfacente livello di sicurezza. Ne esistono
diversi tipi: quelli costituiti da batteri o da virus viventi e attenuati,
(esempio tipico è il vaccino per la tubercolosi, il vaccino di Sabin contro la
poliomielite, il vaccino contro la febbre gialla, quello antirosolia); vaccini
con microrganismi uccisi (ad esempio, il vaccino contro il tifo, la pertosse, la
brucellosi, la rabbia...); quelli costituiti da anatossine, (antitetanica,
antidifterica...); quelli costituiti da componenti antigenici ottenuti da
batteri e quindi purificati. Quest’ultimo tipo di vaccino (quale, ad esempio
quello contro la meningite, costituito dai polisaccaridi estratti dai
meningococchi) sta assumendo una
crescente importanza grazie all’impiego dei moderni sistemi di purificazione.
Ma,
nonostante i progressi dell’immunoprofilassi, nessuna vaccinazione è
totalmente esente da rischi. Ad esempio, ancora oggi, per quanto riguarda il
morbillo, ogni 3,6 milioni di dosi di vaccino erogate si ha un caso di lesioni
cerebrali, mentre per la profilassi antipolio ogni 2,6 milioni di dosi si ha un
caso di poliomielite associata al vaccino. Da ciò la convenienza egoistica per
un individuo che tutta la popolazione sia vaccinata (riducendo quindi a zero la
possibilità per egli di infettarsi) tranne lui (riducendo così a zero i rischi
connessi alle vaccinazioni). Ne discende da ciò l’obbligatorietà delle
vaccinazioni più importanti che contraddistingue la legislazione di moltissime
nazioni.
La
legge e l’etica
In
molti paesi - tra i quali l'Italia - le vaccinazioni rientrano tra i cosiddetti
trattamenti sanitari obbligatori non coattivi. Questo significa che è previsto
l'obbligo per tutti i soggetti appartenenti a una determinata fascia di età di
sottoporsi ad alcune vaccinazioni, ma che queste non vengono somministrate con
la forza in caso di rifiuto. Non tutti i paesi scelgono questa strada per
assicurarsi che l'obiettivo della diffusione della vaccinazione sia raggiunto, e
ricorrono a campagne di educazione sanitaria (è cosi, tradizionalmente, in Gran
Bretagna) oppure a forme di coazione indiretta, quali il divieto di accesso ai
servizi scolastici o, più in generale, ai servizi erogati con finanziamento
pubblico (è il caso degli Stati Uniti, dove però alcune vaccinazioni sono
anche rese obbligatorie). Negli Stati Uniti la Corte suprema federale con una
sentenza destinata a fare scuola nel resto del mondo non ebbe dubbi nel
risolvere la controversia promossa da coloro che contestavano, in nome della
libertà individuale e del diritto del singolo all'autodeterminazione, la
legittimità dell'imposizione della vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo,
con tutti i rischi a essa connessi, osservando che tali «rischi erano troppo
ridotti per poter essere seriamente presi in considerazione a fronte dei
benefici prodotti sulla collettività». La ratifica dell’obbligatorietà
rimandava, comunque, al risarcimento dei danni prodotti dalla vaccinazione. La
questione si pose clamorosamente nel 1968 quando una Corte di appello federale
degli Stati Uniti condannava per la prima volta il produttore di un vaccino
antipolio a risarcire un soggetto, obbligatoriamente vaccinato, che aveva
contratto la poliomielite, in quanto quest'ultimo non era stato debitamente
avvertito del rischio derivante dall'assunzione del vaccino. Questa sentenza ha
avuto effetti dirompenti in quanto ha portato alla crescita esponenziale delle
richieste di risarcimento. Nel 1982, una campagna di vaccinazione obbligatoria
contro una influenza particolarmente pericolosa, ha comportato oltre 4000
controversie giudiziarie, con una domanda di risarcimento nei confronti dei
produttori di vaccini pari a 3 miliardi di dollari. Questo ha portato
all’impossibilità di reperire un numero adeguato di produttori di farmaci che
acconsentissero a produrre vaccini, anche perché le compagnie di assicurazione
rifiutavano di tutelare le case produttrici se non richiedendo premi
esorbitanti. Nel 1985, dei dieci produttori di vaccini presenti sul mercato
quindici anni prima ne restavano soltanto tre. Anche la ricerca scientifica nel
settore risultava in netta diminuzione, essendo stati dirottati gli investimenti
in altri campi malgrado il mercato delle vaccinazioni negli Stati Uniti valga,
secondo stime ufficiali, oltre 500 milioni di dollari all'anno. La risposta
legislativa al pericolo sanitario e pubblico provocato da questa situazione, è
stata quella di un difficoltoso ritorno al passato, e quindi a escludere
risarcimenti di danni, oppure ad addossare l'obbligo di risarcimento allo Stato
(previsto per la prima volta in una legge del 1976 - il Swine
Flu Act). Una strada, quest'ultima, già seguita da molti paesi europei (dal
1963 la Germania e dal 1964 la Francia) ai quali si è aggiunta anche l'Italia,
con la legge 210 del 25 febbraio 1992.
Nel
nostro paese, il Piano sanitario nazionale per il triennio 1994-96 prevede due
”progetti obiettivo”: tutela materno infantile e tutela della salute degli
anziani. Nel primo progetto è specificatamente previsto la generalizzazione
delle vaccinazioni antimorbillo, antirosolia, antiparotite, antipertosse, nel
secondo progetto, la generalizzazione della vaccinazione antinfluenzale per gli
anziani ultrasessantacinquenni. Oltre a queste, in Italia esistono particolari
categorie di lavoratori per le quali sono obbligatorie determinate vaccinazioni
(ad es. l’antimeningococcica per i militari di leva, l’antitetanica per i
fantini e gli addetti alla N.U. , antitifoparatifica per gli addetti alla
manipolazione e produzione di alimenti...) mentre da qualche anno è diventata
obbligatoria per tutti i soggetti al di sotto di dodici anni la vaccinazione
antiepatite B. Ed è stata proprio l’obbligatorietà di quest’ultima
vaccinazione ha suscitare le più vive polemiche e in effetti il rischio
dell’infezione da epatite B appare profondamente cambiato rispetto a qualche
anno fa risultando minimizzato per la prima infanzia mentre permane elevato dopo
la maturazione sessuale; in questo senso, forse più che insistere
nell’obbligo (peraltro, pochissimo rispettato) per questa vaccinazione,
sarebbe più opportuno sviluppare campagne di informazione sull’epatite B, il
cui pericolo continua a rimanere sottovalutato in vasti strati di popolazione.
Un
caso a se è poi quello costituito dalla crescente presenza in Italia di
immigrati, provenienti da aree caratterizzate da gravi endemie, e che, in gran
parte, non possono usufruire del Sistema sanitario nazionale. Ovviamente non si
tratta di chiudere le nostre frontiere in nome di una possibile minaccia
epidemica (tra l’altro, se si adottasse questo principio, si dovrebbe impedire
l’accesso ai cittadini statunitensi o svizzeri tra i quali si registra
un’altissima incidenza del virus HIV) ma di sviluppare anche tra questi
soggetti screening che potrebbero portare alla obbligatorietà di alcune
vaccinazioni. Già questo è stato imposto nel 1995 con una circolare del
Ministero della Sanità che obbliga tutti i bambini stranieri presenti in Italia
ad essere vaccinati contro la poliomielite, l’epatite B, il tetano e la
difterite. Un aspetto controverso ma, dal nostro punto di vista, positivo di
questa circolare è l’estensione dell’obbligo e della gratuità delle
vaccinazioni anche per quei minori irregolarmente presenti in Italia e quindi
non iscritti al Servizio sanitario nazionale.
Avviandoci
verso la fine di questo breve documento diventa doveroso trarre alcune
considerazioni che, stante il vivace dibattito in atto sulle vaccinazioni non
vogliono certo avere la valenza di conclusioni ma sottolineare alcuni punti. Il
primo è che oggi l’attenuarsi dell’incidenza delle malattie infettive nel
nostro paese rischia di favorire un certa snobistica “presa di distanza”
dalle vaccinazioni, viste come il retaggio di un periodo ormai definitivamente
concluso. Così non è. E, se non si vuole tornare ad una visione per così dire
evoluzionistica, dobbiamo superare la logica dell’automatismo della
conservazione e cogliere nell’intervento vaccinale proprio la dimensione della
cura della vita in tutti gli stadi e in tutte le sue forme. D’altra parte
l’intervento vaccinale non deve mai perdere il suo carattere mirato per cui la
vaccinazione non è un fine a se stessa ma sempre supporta il benessere della
singola persona e della società a cui appartiene. Ciò significa quindi che
l’intervento vaccinale ha sempre un carattere personale e individuale e una
valenza sociale. Questo presupposto, il più delle volte implicito, non va
dimenticato. Il senso della vaccinazione si colloca nella preoccupazione della
salvaguardia del bene sociale, di fronte ad eventuali rischi epidemiologici e
quindi ne discende l’intervento pubblico regolamentato da appropriate forme
legislative. E anche se può sembrare marginale, credo che vada sottolineato il
carattere primariamente etico-antropologico dell’intervento legislativo che
solo su questa base può legiferare circa l’obbligatorietà. Ancora su questi
aspetti di riflessione sul carattere di patto sociale delle vaccinazioni
dobbiamo tenere in considerazione che alla dimensione dell’etica pubblica va
ascritto anche il rapporto tra i rischi e i benefici che deve, comunque,
collocarsi nell’ottica di attenzione della salute dell’intera collettività,
vero e unico riferimento. Di certo non è possibile circoscrivere il discorso
sulle vaccinazioni al solo ambito economico ma va pur detto, soprattutto in un
momento come questo caratterizzato da una drastica contrazione della spesa
sanitaria, che malattie prevalentemente infantili quali il morbillo, la rosolia,
la parotite, la pertosse che, oltre a determinare nel nostro paese un
significativo numero di vittime, comportano una spesa sanitaria annua di circa
380 miliardi potrebbero essere nettamente ridimensionate con campagne di
vaccinazione da costo di trenta miliardi. Sempre restando nel campo economico,
nel contesto dell’obbligatorietà, una particolare rilevanza riveste la
necessità che lo stato si faccia garante del risarcimento, dove possibile non
soltanto economico, per eventuali risultati negativi dovuti all’intervento
vaccinale. L’esempio dei progetti per un vaccino contro l’AIDS che,
soprattutto negli Stati Uniti, hanno avuto un netto ridimensionamento non appena
le aziende farmaceutiche hanno paventato i costi di eventuali risarcimenti,
dovrebbe far riflettere.
ALLEGATO:
Conclusioni
e raccomandazioni del Comitato Nazionale per la Bioetica sui vaccini
1.
I vaccini possono essere annoverati tra le grandi conquiste mediche e
scientifiche dell'epoca moderna. Hanno infatti debellato il vaiolo e consentito
la prevenzione di molte malattie, come la poliomielite, la difterite ed il
tetano, che in precedenza uccidevano o rendevano invalidi milioni di persone
ogni anno. Sono anche efficaci contro diverse infezioni degli animali domestici!
alcune delle quali trasmissibili all'uomo. Hanno un valore terapeutico, oltre
che preventivo in alcune malattie a lento decorso, come la rabbia e la
tubercolosi. Aprono ulteriori ed affascinanti prospettive, via via che migliora
la conoscenza del sistema immunitario, al trattamento sia delle infezioni
tuttora diffuse, come la malaria e 1'AIDS, sia di altre patologie, inclusa
quella tumorale. Appartengono ai farmaci naturali, quelli cioè che agiscono
rispettando e valorizzando le capacità fisiologiche dell'organismo. Infine,
presentano un rapporto tra costi e benefici eccezionalmente favorevole.
2. Ciononostante, l'impiego e la ricerca dei vaccini
comportano diversi inconvenienti Quello maggiormente avvertito a livello
dell'opinione pubblica è la possibilità di effetti collaterali, costituiti da
reazioni allergiche, reazioni neurologiche ed infezioni dovute alla
virulentazione di vaccini contenenti germi vivi. Questo pericolo è stato
talvolta ingigantito, fino a determinare una condizione relativamente diffusa di
sospetto e rifiuto, specie nei confronti della vaccinazione della popolazione
infantile: è invece minimo. soprattutto con i preparati più' recenti. ed è
ampiamente controbilanciato dal rischio concreto che, in assenza di un'estesa
protezione vaccinale, alcune malattie si diffondano nuovamente e colpiscano i
non vaccinati con una sequenza ben più elevata di quella attuale. In
definitiva' si può affermare che le malattie naturali comportano rischi ben
maggiori di quelli dei vaccini. Va anche sottolineato che la messa a punto di un
vaccino è un'impresa complessa, lunga, costosa e poco remunerativa, così da
non consentire a chi la intraprenda di ricavarne il giusto ricavo. I produttori
dei vaccini, inoltre, possono essere chiamati a rispondere degli effetti
collaterali causati non da una loro negligenza; ma da eventi imprevedibili.
l'industria privata' che nello sviluppo dei nuovi medicamenti ha sempre giocato
un ruolo determinante e complementare a quello dei centri pubblici, non è
quindi abbastanza incoraggiata al impegnarsi a fondo in questo settore. anche se
ci sono segnali forti in senso opposto.
3.
I vaccini sollevano anche altri problemi come quello della sperimentazione
sull’animale: dei consenso informato al loro impiego medico e sperimentale
degli obblighi dei genitori e tutori nei confronti di minori privi di autonomia
decisionale; della possibilità di conflitti ha diritti individuali e diritti
collettivi; dei farmaci orfani, che vengono abbandonati per motivi di tipo
eminentemente economico Si tratta, peraltro, di problemi comuni ad altri campi
della ricerca biomedica e della medicina.
4.
Il primo imperativo etico è quello di assicurare sull'argomento un'informazione
approfondita aggiornata, corretta e quanto più possibile completa. In
particolare, i dati riguardanti gli effetti collaterali dei vaccini vanno
pubblicizzati ma dando nel contempo il dovuto rilievo agli elementi necessari
per interpretarne correttamente il significato. Vanno ugualmente menzionati i
pareri contrari alla vaccinazione, facendo tuttavia presente l'eventuale carenza
di dati scientifici a loro sostegno.
5.
Una caratteristica peculiare dei vaccini e di avere un elevato valore sociale,
in quanto oltre a proteggere la persona vaccinata riducono il rischio di
contagio a carico della restante popolazione. Pur tenendo conto dell'obiettiva
difficoltà di stabilire una chiara delimitazione tra diritti individuali e
diritti collettivi, questo aspetto induce a ritenere che lo Stato abbia il
dovere ed il diritto di promuovere le vaccinazioni considerate essenziali dalla
comunità scientifica internazionale non solo attraverso campagne di
informazione ed educazione sanitaria, ma anche con altre modalità più'
incisive Alcuni paesi adottano misure coercitive indirette, consistenti
nell'obbligatorietà di esibire il certificato di vaccinazione al momento
dell'iscrizione scolastica. Altri propendono per un atteggiamento più
articolato, considerando il rifiuto alla vaccinazione illecito, ma non
perseguibile penalmente Altri ancora ritengono che questa pratica vaca imposta
esplicitamente, a livello sia della popolazione infantile sia di alcune
categorie professionali, pur ammettendo la possibilità di deroghe giustificate
da motivi validi. Ciascuna di queste soluzioni può essere ugualmente
accettabile, purché raggiunga lo scopo. I pareri contrari alla vaccinazione
vanno rispettati, ma non oltre il limite al di la del quale ciò possa risultare
lesivo del diritto alla tutela della propria salute da parte sia del minore sia
di altri.
6.
Le vaccinazioni ripropongono infine il problema generale del confronto tra due
diverse concezioni della medicina quella a carattere eminentemente preventivo,
che presuppone una conoscenza approfondita dei processi naturali e tende a
valorizzarli per salvaguardare la salute, Più che per ripristinarla; quella a
carattere riparativo, che combatte le malattie intervenendo sulle loro cause o
sui loro sintomi anche con mezzi innaturali, generalmente dotati di un effetto
più contingente e, potenzialmente carico di maggiori incognite. La prima è
rappresentata dai vaccini. da altri medicamenti e da tutti gli interventi A
carattere sanitario, inclusi quelli ambientali tendenti a migliorare le
condizioni ambientali e la qualità della vita; la seconda da gran parte dei
medicamenti moderni, inclusi gli stessi antibiotici. Una sensibilizzazione a
questa problematica appare importante anche in vista di interventi legislativi a
sostegno di una concezione della medicina che sia sempre più consona ai bisogni
fondamentali dell'uomo.