L’Associazione Internazionale di Apostolato Cattolico

e i suoi dipartimenti della C.L.I. e della C.E.I.S.M.

 

ricordano ed omaggiano GIORGIO LA PIRA per lo straordinario impegno Etico-Sociale-Politico dell’Uomo di Dio, che seppe sempre lavorare per l’affermazione del BENE COMUNE.  

(Alla Sua opera sarà dedicato uno speciale de “Il Riflettere”)

 

Medaglia d'oro di Ciampi a La Pira - 09-01-2004

 

Il Presidente della Repubblica Ciampi ha conferito la Medaglia d'Oro al Merito Civile alla memoria dell'Onorevole Giorgio La Pira. Oggi ricorre il centenario della nascita. Fra le figure piu' rappresentative dell'Italia contemporanea, dice la motivazione, La Pira fu insigne giurista e intensamente impegnato per la rinascita delle istituzioni democratiche nell'Assemblea Costituente, ove, nella formulazione dei principi fondamentali della Repubblica, svolse opera di grande rilievo.

 

GIORGIO LA PIRA - La vita

 

Giorgio La Pira nasce il 9 gennaio 1904 a Pozzallo (RG), in Sicilia. Primogenito di una famiglia di umili condizioni, a prezzo di grandi sacrifici riesce a diplomarsi in Ragioneria e poi a laurearsi in Giurisprudenza. Trasferitosi a Firenze con il suo maestro, diventa docente di Diritto romano. Tra il 1929 ed il 1939 svolge un’intensa attività di studioso che lo mette in contatto con l’Università Cattolica di Milano: entra cosí in amicizia con figure come padre Gemelli e Giuseppe Lazzati. Si impegna a fondo nell’Azione Cattolica giovanile e nella pubblicistica cattolica, scrivendo in numerose riviste, tra cui il famoso Frontespizio. Alla vigilia della guerra (1939) fonda e dirige la rivista Principi nella quale - in pieno regime fascista - pone le premesse cristiane per un’autentica democrazia. Il regime ne vieta la pubblicazione. Tra il 15 luglio e l’8 settembre 1943 crea il foglio clandestino San Marco. Il 23 settembre sfugge alla polizia segreta che lo cerca per arrestarlo. Raggiunta Roma, nel 1944 tiene all’Ateneo Lateranense - su iniziativa dell’Istituto Cattolico Attività Sociali - un corso di lezioni che riscuote molto successo. L’anno successivo le lezioni vengono pubblicate sotto il titolo Le premesse della politica. Liberata Firenze l’11 agosto 1944, La Pira torna ad insegnare all’Università e collabora al quotidiano del Comitato di Liberazione Nazionale toscano La nazione del popolo. Nel frattempo arricchisce il suo pensiero approfondendo la cultura cattolica francese e l’economia anglosassone. Sostiene il diritto universale al lavoro e l’accesso generalizzato alla proprietà. Frutto di questa riflessione sono alcuni noti volumi come La nostra vocazione sociale: Valore della persona umana. Nel 1946 viene eletto all’Assemblea Costituente. Nel 1947, insieme a Dossetti, Fanfani e Lazzati, dà vita a Cronache sociali, la rivista che meglio ha espresso la presenza cristiana nel difficile processo di rinascita della democrazia in Italia. Alla Costituente svolge un’opera di grande rilievo, e da tutti apprezzata, nella Commissione dei 75, in particolare per la formulazione dei principi fondamentali che dovranno reggere la nuova Repubblica Italiana. Nel 1948 è nominato sottosegretario al Ministero del Lavoro; nel 1950 scrive in Cronache Sociali il famoso saggio L’attesa della povera gente, nel quale dimostra la necessità, e la concreta possibilità, del lavoro e della casa per tutti. Nel 1951 interviene presso Stalin in favore della pace in Corea. Il 6 luglio è eletto Sindaco di Firenze (1951-1958; 1961-1965). La sua opera di sindaco è punteggiata da notevoli realizzazioni amministrative e da straordinarie iniziative di carattere politico e sociale. Sotto la sua amministrazione, vengono ricostruiti i ponti Alle Grazie, Vespucci e Santa Trinità distrutti dalla guerra; viene creato il quartiere-satellite dell’Isolotto; si gettano le basi per il quartiere di Sorgane; si costruiscono, in varie zone della periferia, moltissime case popolari; si riedifica il nuovo Teatro Comunale; si realizza la Centrale del Latte; viene nuovamente pavimentato il Centro Storico. Con la collaborazione dell’on. Nicola Pistelli, Firenze viene dotata di un numero di scuole tale da ritardare di almeno vent’anni la crisi dell’edilizia scolastica in città. Nello stesso tempo, La Pira conduce una coraggiosa lotta in favore dei lavoratori. Famosa la strenua difesa dell’occupazione per i duemila operai delle officine Pignone, poi della Galileo e della Cure. Nel 1952 organizza in piena guerra fredda il primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana. Da esso ha inizio un’attività, unica in Occidente, tesa a promuovere contatti vivi, profondi, sistematici tra esponenti politici di tutti i Paesi. Nel 1955 i sindaci delle capitali del mondo siglano a Palazzo Vecchio un patto di amicizia. Nel 1958 hanno luogo a Firenze i Colloqui Mediterranei cui partecipano rappresentanti arabi ed israeliani. Nel 1959 La Pira, invitato a Mosca, parla addirittura al Soviet Supremo in difesa della distensione e del disarmo. Rivolge anche un ammonimento ai capi del Cremlino: «Come avete rimosso dal Mausoleo al Cremlino il cadavere di Stalin, cosí dovete liberarvi dal cadavere dell’ateismo. È una ideologia che appartiene al passato ed è ormai irrimediabilmente superata». Nel 1965 incontra ad Hanoi Ho Chi-Minh con il quale mette a punto una serie di proposte che, se non fossero state osteggiate da esponenti occidentali ostili alla pace, avrebbero anticipato di un decennio la fine della tragica guerra vietnamita. In parallelo a questi contatti diplomatici avvengono i gemellaggi di Firenze con Filadelfia, Kiev, Kioto, Fez e Reims; nonché il conferimento della cittadinanza onoraria di Firenze al segretario dell’ONU U Thant e al grande architetto Le Corbusier. Nel capoluogo toscano La Pira promuove il Comitato internazionale per le ricerche spaziali; una tavola rotonda sul disarmo; iniziative tese a mettere in luce il valore e l’importanza del terzo mondo e degli emergenti Stati africani (tra l’altro, invita a Firenze il presidente del Senegal Léopold Senghor, uno dei piú prestigiosi leaders cristiani dei movimenti di liberazione). È ancora lui che per primo lancia l’idea dell’Università Europea da istituire a Firenze. Dal 1966 comincia a ritirarsi dall’attività pubblica, ma continua a mantenere contatti internazionali quale presidente della Federazione mondiale delle città unite. In questa veste, tiene colloqui e conferenze in vari paesi d’Europa, in preparazione alla Conferenza di Helsinki. Nel 1967 ha colloqui con Nasser in Egitto ed Abba Eban in Israele, per collaborare alla pace tra i due grandi gruppi umani usciti dall’unico progenitore Abramo. Trova un inaspettato interesse per questa impostazione di discorso politico fondato sulla tradizione religiosa. Nel 1973 a Houston (USA) parla al Convegno internazionale "I progetti per il futuro" ed delinea i compiti delle nuove generazioni. Famoso l’inizio del suo discorso: “I giovani sono come le rondini, annunciano la primavera”. Nel contesto di queste molteplici iniziative svolge un'intensa attività pubblicistica. Scrive a Capi di Stato, a personalità di ogni continente, ai monasteri di clausura, ai vecchi e ai bambini di Firenze, tiene discorsi, conversazioni, incontri, soprattutto con giovani, che lo seguono con entusiasmo avvertendo la grande forza della sua fede e la purezza dei suoi ideali. Instancabile proclamatore della profezia di Isaia, ne esalta spesso la sua attualità: «Avverrà che nei tempi futuri il monte della casa del Signore sarà stabilito in cima ai monti e si ergerà al di sopra dei colli. Tutte le genti affluiranno ad esso, e verranno molti popoli dicendo: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché c'istruisca nelle sue vie e camminiamo nei suoi sentieri". Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice tra le genti e arbitro di popoli numerosi. Muteranno le loro spade in zappe e le loro lance in falci; una nazione non alzerà la spada contro un'altra e non praticheranno più la guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore!». È questo ideale che lo sostiene negli ultimi anni, resi difficili da una grave malattia e da un penoso isolamento. Il 5 novembre 1977 in un "sabato senza vespri" come aveva desiderato, conclude il suo pellegrinaggio terreno. È in corso la causa di beatificazione.

 

Profeta della Pace

di Giuseppe Dall’Asta

 

Vi è un tema affrontato da Giorgio La Pira che rappresenta il momento di trapasso, senza soluzione di continuità, tra il suo impegno di sindaco di Firenze e quello a favore della pace e della collaborazione internazionale: il ruolo storico e futuro delle città in un’epoca di minaccia di guerra nucleare. La Pira ne parlò in un discorso pronunciato nell’aprile 1954 a Ginevra in una seduta del Comitato Internazionale della Croce Rossa. In quell’occasione egli sostenne che ci troviamo nell’"epoca storica delle città" e questo è confermato dalla più accreditata letteratura non solo urbanistica, ma anche storica, politica e pure filosofica e religiosa. La cultura e la metafisica della città - osserva La Pira - sono diventate il centro nuovo di orientamento di tutta la meditazione umana. Siamo ad una nuova ‘misura’ dei valori: la storia presente, ma ancora più quella futura, si serviranno sempre più di questo metro destinato a fornire la misura umana a tutta la scala dei valori1. Ma a questo periodo di preminenza delle città fa riscontro, per un misterioso paradosso della storia, proprio l’epoca in cui la distruzione simultanea delle principali città del mondo può essere compiuta in pochi secondi. "Che sarebbe dell’umanità - si chiede La Pira - senza questi centri essenziali del mondo civile e che diritto hanno gli Stati di distruggere queste ‘unità viventi’ in cui si concentrano i valori essenziali della storia passata e futura?". Le generazioni attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future. Il diritto all’esistenza delle città nel loro valore storico, artistico, culturale, politico e religioso si fa più grande a misura che si chiarisce nella meditazione umana attuale il significato profondo delle città stesse. La Pira concluse il suo discorso affermando solennemente: Io domando che il diritto delle città all’esistenza sia formalmente riconosciuto dagli Stati che hanno il potere di violarlo; io domando, anche a nome delle generazioni future, che i beni di cui sono destinatari non siano distrutti2. Ma perché questo avvenga occorre che gli Stati si sentano responsabili dei luoghi essenziali per l’esistenza stessa della civiltà umana e che, di conseguenza, siano sottratti a qualsiasi minaccia mortale di azioni di guerra. Il problema è veramente la magna quaestio del nostro tempo e risolverlo significa avere salvato l’umanità intera da certa rovina. Queste idee furono ribadite da La Pira in occasione del Convegno fiorentino dei Sindaci delle Capitali, da lui promosso nel 1955: "Ciascuna città e civiltà è legata organicamente per intimo nesso e scambio a tutte le altre: formano tutte insieme un unico grandioso organismo". Le città restano, specie quelle fondamentali, arroccate sopra i valori eterni, portando con sé, lungo il corso dei secoli e delle generazioni, gli eventi storici, di cui sono state protagoniste e testimoni. Esse sono come "libri vivi" della storia e della civiltà umana, destinati alla formazione spirituale e civile delle generazioni future.

Messaggero di fede e di pace

L’azione politica e profetica di Giorgio La Pira a favore della pace si espresse in molteplici e ardite iniziative che caratterizzarono il suo impegno pubblico di sindaco di Firenze e di ‘ambasciatore’ di pace. Per comprendere il valore e l’importanza della sua opera, ci soffermeremo su alcune iniziative e interventi che possono aiutarci a capire la singolarità di una testimonianza che ha una sua logica e una sua profonda motivazione. Giorgio La Pira nel 1959 si recò nell’URSS, con invito ufficiale dell’ambasciatore Bogomolov. Il viaggio avvenne dopo il rapporto Krusciov al XX Congresso del PCUS e quando ormai si delineava la politica di coesistenza. In questo nuovo clima di collaborazione internazionale, La Pira inserì per primo, in modo costruttivo e non polemico, il tema della libertà religiosa come elemento essenziale di un processo di edificazione pacifica3. Davanti al Soviet Supremo al Cremlino, egli espose tranquillamente ma con fermezza le sue idee di credente e di uomo amante della pace: Signori, io sono un credente cristiano e, dunque, parto da questa ‘ipotesi di lavoro’: credo nella presenza di Dio nella storia, nell’incarnazione e resurrezione di Cristo e credo nella forza storica della preghiera; perciò, secondo questa logica, ho deciso di dare un contributo alla coesistenza pacifica tra Est e Ovest come dice il Signor Krusciov, facendo un ponte di preghiera fra Occidente e Oriente per sostenere come posso la grande edificazione di pace nella quale tutti siamo impegnati. [...] Il nostro comune programma costruttivo, il nostro disegno architettonico, deve essere questo: dare ai popoli la pace, costruire case, fecondare i campi, aprire officine, scuole e ospedali, ricostruire e aprire dovunque le chiese e le cattedrali. Perché la pace deve essere costruita a ogni livello della realtà umana: livello economico, sociale, politico, culturale e religioso. Soltanto così il nostro ponte di pace fra Oriente e Occidente diventerà incrollabile. E così lavoreremo per il più grande ideale storico della nostra epoca, un pacifico tempo di avvento umano e cristiano4. Nei successivi contatti La Pira esortò i dirigenti sovietici a liberarsi dai "rami secchi" dell’ateismo di Stato, di derivazione illuministica e borghese, che divide anziché unire i popoli.

Il futuro dell’umanità

Un’altra testimonianza di amicizia e di fratellanza internazionale è offerta dal messaggio che Giorgio La Pira rivolse da Firenze alla Comunità degli scrittori europei nel 1962, in cui espose la sua concezione biblica della storia. Siamo ormai - affermò La Pira - sul ‘crinale apocalittico’ della storia: in un versante c’è la distruzione della terra e dell’intera famiglia dei popoli che la abitano, nell’altro versante c’è la ‘fioritura messianica dei mille anni’ intravista da Isaia, da San Paolo e da San Giovanni: i popoli di tutta la terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamate a fare questa estrema scelta. Per non compiere il ‘suicidio globale’ e per andare, invece, nel versante della pace millenaria, bisogna accettare il metodo indicato dal Profeta Isaia: bisogna, cioè, trasformare i cannoni in aratri ed i missili in astronavi e non devono più i popoli esercitarsi con le armi5. Ciò esige una generale e profonda revisione dei concetti, dei metodi e dei fini nella teoria e nell’azione politica, esige una nuova metodologia capace di edificare nell’unità e nella pace una società nuova e proporzionata a questa epoca: la metodologia del Vangelo, che impone a tutti i popoli di amarsi e di integrarsi reciprocamente come membri solidali di un unico corpo. Tutto questo richiede la promozione a tutti i livelli, da quello economico a quello spirituale, culturale e politico, di tutti i popoli, antichi e nuovi, della terra; esige, in particolare, una tale strutturazione del sistema economico da permettere di fondare saldamente sul lavoro la comune società dei popoli e delle nazioni: una città nuova attorno alla fonte antica, come disse papa Giovanni XXIII. L’albero su cui questo messaggio fiorisce è davvero ben radicato, afferma La Pira, sale dalle radici più profonde della civiltà cristiana e umana di Firenze, porta i nomi di Dante, del Beato Angelico, di Leonardo, di Michelangelo e del Savonarola. A queste radici del passato si sono aggiunte le altre grandi radici del presente: quelle degli uomini più qualificati della Resistenza fiorentina, che dissero no al fascismo e al nazismo e che con il loro sacrificio contribuirono in larga misura alla fine di un tristissimo periodo di odio e di guerra ed all’inizio di questa nuova epoca carica, malgrado tutto, di fraternità, di comprensione e di pace.

Il dialogo interreligioso

Giorgio La Pira iniziò il dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani nell’ambito dei "Convegni per la pace e la civiltà cristiana", che promosse a Firenze dal 1952 al 1956. Il crocevia dei sentieri dei popoli mediterranei partiva da Gerusalemme, la città santa di tutte e tre le famiglie discese da Abramo6. Nell’introdurre il III "Colloquio mediterraneo" del 1961, La Pira ricordò che l’idea dei colloqui si precisò in lui nel Natale 1957 mentre era in pellegrinaggio in Palestina ad Hebron, presso la tomba del Patriarca, di Abramo, padre della triplice famiglia dei credenti: Israele, la Cristianità, l’Islam. Egli si rendeva ben conto che il Mediterraneo da fossato quale era per diventare un grande lago di Tiberiade avrebbe dovuto abolire tutte le ragioni conflittuali, da quelle economiche a quelle politiche. Occorreva fare leva sulla fede nel medesimo Dio, con quel ricco tessuto di implicazioni etniche e sociali che aveva dispiegato lungo la storia. La struttura capace di annullare tutte le cause di divisione era, per La Pira, "la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo, il patriarca dei credenti, la radice soprannaturale comune". Il patto di Alleanza con il Dio vivente, con il Dio di Abramo, di Isacco, di Israele e di Giacobbe, costituisce la genesi, il polo di orientamento e l’asse di sviluppo del popolo; della nazione e della civiltà di Israele e dei popoli, delle nazioni e della civiltà cristiana e araba. Il tempio, la cattedrale e la moschea costituiscono l’asse attorno al quale si edificano i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero ‘spazio di Abramo’. A questa componente teologale La Pira ne aggiungeva altre due: quella metafisica, elaborata dai Greci e dagli Arabi e quella giuridica definita da Roma. Ma nella sua costante e tenace azione per un’intesa tra le nazioni dello specchio del Mediterraneo, la componente più importante restava la prima, in frontale contrapposizione all’ateismo pratico del capitalismo e a quello ideologico del Marxismo. Questa immersione nelle profondità della cultura mediterranea non era per lui una fuga mistica dal presente, né poteva appagarsi di un anacronistico ritorno al passato: era la condizione stessa della pace nel mondo, dato che l’unità dei popoli della terra non è concepibile senza l’universalità delle tre grandi famiglie monoteistiche7. A rendere improrogabile questa scelta era la condizione apocalittica inaugurata nell’era atomica. Il disegno architettonico era semplice, dichiarava La Pira: si trattava di convocare a Firenze i popoli mediterranei, di farli incontrare in Santa Croce nel ricordo di San Francesco e nella sua azione di pace svolta nel 1210 con il Sultano, ed iniziare a Firenze, nell’occasione di questo incontro, quel negoziato di pace destinato a dare unità a tutti i popoli mediterranei, membri dell’unica famiglia abramitica e destinati a dare un nuovo essenziale apporto alla nuova civiltà del mondo. Questa esperienza fiorentina fu per La Pira un "progetto operativo" che si articolava in tre parti strettamente collegate tra di loro: la prima riguardava la presente età apocalittica e nucleare della storia del mondo; la seconda considerava la finalità, la "teleologia" della storia in generale; la terza si riferiva specificamente alla storia mediterranea, dei popoli membri della comune famiglia del Patriarca Abramo. E qui entra in campo quello che La Pira chiama il "sentiero di Isaia". La storia universale è paragonata a un grande fiume che, nonostante le sue anse e i suoi percorsi tortuosi, sotto la spinta della forza soprannaturale della Grazia, va verso la foce dell’unità dei popoli. Il fiume storico dell’utopia profetica di Isaia costituisce, come rilevò anche Paolo VI, l’autentico realismo della storia. A questo finalismo oggi non c’è alternativa se non la distruzione apocalittica del genere umano. Osserva La Pira: tutta la storiografia biblica - Antico e Nuovo Testamento - e anche la tradizione del Corano, sono animati da questa invincibile speranza. Una speranza che si radica in Abramo, che percorre tutta la storia di Israele e di Ismaele, che attraverso i Patriarchi, Mosè e i Profeti, perviene fino al Cristo risorto, sino al termine dei secoli. Questa nuovissima "età finale" della storia - età nucleare ed età apocalittica - va vista ed interpretata in funzione del sentiero di Isaia e del moto messianico di speranza della storia del mondo. A questo punto si specifica la storia dei popoli mediterranei; una storia estremamente complessa, drammatica e contraddittoria. Ma salendo dal comune ceppo l’albero della triplice famiglia monoteistica - ebrei, cristiani, musulmani - si è profondamente radicato presso tutti i popoli mediterranei e da essi si è esteso su tutti i popoli e su tutte le civiltà. Perciò questi popoli mediterranei, anche se con lacerazioni e contrasti, hanno un fondo storico comune. L’azione di Giorgio La Pira ebbe una duplice valenza: politica e profetica. Ciò significa che egli si fece portatore di idee, ma anche e soprattutto di opere e di iniziative. Il suo campo privilegiato fu l’incontro fraterno tra i diversi credenti dello stesso Dio e questo anelito inter-religioso nasceva da una straordinaria e, nello stesso tempo, semplice e cristallina fede cristiana. Era la sua una adesione profonda al messaggio evangelico nelle sue radici bibliche e nella sua universalità; in questo senso il suo cattolicesimo ecumenico lo portava naturaliter ad aprirsi agli altri fratelli di fede, con particolare predilezione a chi credeva in modo diverso allo stesso Signore e allo stesso Padre. Ed in questo campo Giorgio La Pira si cimentò non solo con profonde riflessioni teologiche, ma soprattutto con iniziative e con clamorosi incontri in momenti difficili, e in un certo senso impossibili, della storia, se questa è vista senza la prospettiva della speranza profetica. La Pira visse in maniera straordinaria questa esperienza di uomo politico e uomo di fede; operò ad ogni livello, soprattutto nella vita contemplativa, ma ugualmente nell’impegno sociale e politico, con la predilezione per i poveri, per le vittime della guerra e della sofferenza. E seppe in modo singolarissimo associare i luoghi di preghiera e di meditazione ai suoi incontri con i potenti della terra, nella sua infaticabile opera tesa a salvare la pace nei momenti più drammatici della guerra fredda.

Un cristiano siciliano

di Piero Antonio Carnemolla

Giorgio La Pira (Pozzallo, 1904 - Firenze, 1977) è unanimamente riconosciuto tra le figure italiane più eminenti della spiritualità, della cultura e della politica del Novecento. Firenze fu la città del suo lavoro di docente universitario, del suo impegno amministrativo, delle sue singolari iniziative per il dialogo tra le culture e la pace tra i popoli. Ma sempre viva restò in lui la coscienza delle radici siciliane della sua personalità umana e cristiana. Significativamente, una volta, chiese a Ho Chi Min di chiamarlo semplicemente "cristiano siciliano". Su di lui si è scritto molto. Ma molto rimane da indagare, soprattutto sulla scorta dei tanti suoi scritti non ancora pubblicati. L'Autore di questo volume propone un'attenta analisi critica dell'ormai vastissima bibliografia lapiriana. Ma il volume è ben più di una completa bibliografia ragionata. Può ritenersi anche un'accurata biografia, perché l'esposizione segue cronologicamente le fasi della vita di La Pira e ne illustra le svolte e i passaggi più significativi. Ed è inoltre un'originale introduzione al pensiero e all'opera del "sindaco santo", perché presenta organicamente i motivi dominanti della sua riflessione e della sua azione. un tema affrontato da Giorgio La Pira che rappresenta il momento di trapasso, senza soluzione di continuità, tra il suo impegno di sindaco di Firenze e quello a favore della pace e della collaborazione internazionale: il ruolo storico e futuro delle città in un'epoca di minaccia di guerra nucleare La Pira concluse il suo discorso affermando solennemente: Io domando che il diritto delle città all'esistenza sia formalmente riconosciuto dagli Stati che hanno il potere di violarlo; io domando, anche a nome delle generazioni future, che i beni di cui sono destinatari non siano distrutti2. Ma perché questo avvenga occorre che gli Stati si sentano responsabili dei luoghi essenziali per l'esistenza stessa della civiltà umana e che, di conseguenza, siano sottratti a qualsiasi minaccia mortale di azioni di guerra. Il problema è veramente la magna quaestio del nostro tempo e risolverlo significa avere salvato l'umanità intera da certa rovina. Queste idee furono ribadite da La Pira in occasione del Convegno fiorentino dei Sindaci delle Capitali, da lui promosso nel 1955: "Ciascuna città e civiltà è legata organicamente per intimo nesso e scambio a tutte le altre: formano tutte insieme un unico grandioso organismo". Le città restano, specie quelle fondamentali, arroccate sopra i valori eterni, portando con sé, lungo il corso dei secoli e delle generazioni, gli eventi storici, di cui sono state protagoniste e testimoni. Esse sono come "libri vivi" della storia e della civiltà umana, destinati alla formazione spirituale e civile delle generazioni future. Messaggero di fede e di pace L'azione politica e profetica di Giorgio La Pira a favore della pace si espresse in molteplici e ardite iniziative che caratterizzarono il suo impegno pubblico di sindaco di Firenze e di 'ambasciatore' di pace. Per comprendere il valore e l'importanza della sua opera, ci soffermeremo su alcune iniziative e interventi che possono aiutarci a capire la singolarità di una testimonianza che ha una sua logica e una sua profonda motivazione. Giorgio La Pira nel 1959 si recò nell'URSS, con invito ufficiale dell'ambasciatore Bogomolov. Il viaggio avvenne dopo il rapporto Krusciov al XX Congresso del PCUS e quando ormai si delineava la politica di coesistenza. In questo nuovo clima di collaborazione internazionale, La Pira inserì per primo, in modo costruttivo e non polemico, il tema della libertà religiosa come elemento essenziale di un processo di edificazione pacifica3. Davanti al Soviet Supremo al Cremlino, egli espose tranquillamente ma con fermezza le sue idee di credente e di uomo amante della pace: Signori, io sono un credente cristiano e, dunque, parto da questa 'ipotesi di lavoro': credo nella presenza di Dio nella storia, nell'incarnazione e resurrezione di Cristo e credo nella forza storica della preghiera; perciò, secondo questa logica, ho deciso di dare un contributo alla coesistenza pacifica tra Est e Ovest come dice il Signor Krusciov, facendo un ponte di preghiera fra Occidente e Oriente per sostenere come posso la grande edificazione di pace nella quale tutti siamo impegnati. [...] Il nostro comune programma costruttivo, il nostro disegno architettonico, deve essere questo: dare ai popoli la pace, costruire case, fecondare i campi, aprire officine, scuole e ospedali, ricostruire e aprire dovunque le chiese e le cattedrali. Perché la pace deve essere costruita a ogni livello della realtà umana: livello economico, sociale, politico, culturale e religioso. Soltanto così il nostro ponte di pace fra Oriente e Occidente diventerà incrollabile. E così lavoreremo per il più grande ideale storico della nostra epoca, un pacifico tempo di avvento umano e cristiano4. Nei successivi contatti La Pira esortò i dirigenti sovietici a liberarsi dai "rami secchi" dell'ateismo di Stato, di derivazione illuministica e borghese, che divide anziché unire i popoli. Il futuro dell'umanità Un'altra testimonianza di amicizia e di fratellanza internazionale è offerta dal messaggio che Giorgio La Pira rivolse da Firenze alla Comunità degli scrittori europei nel 1962, in cui espose la sua concezione biblica della storia. Siamo ormai - affermò La Pira - sul 'crinale apocalittico' della storia: in un versante c'è la distruzione della terra e dell'intera famiglia dei popoli che la abitano, nell'altro versante c'è la 'fioritura messianica dei mille anni' intravista da Isaia, da San Paolo e da San Giovanni: i popoli di tutta la terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamate a fare questa estrema scelta. Per non compiere il 'suicidio globale' e per andare, invece, nel versante della pace millenaria, bisogna accettare il metodo indicato dal Profeta Isaia: bisogna, cioè, trasformare i cannoni in aratri ed i missili in astronavi e non devono più i popoli esercitarsi con le armi5. Ciò esige una generale e profonda revisione dei concetti, dei metodi e dei fini nella teoria e nell'azione politica, esige una nuova metodologia capace di edificare nell'unità e nella pace una società nuova e proporzionata a questa epoca: la metodologia del Vangelo, che impone a tutti i popoli di amarsi e di integrarsi reciprocamente come membri solidali di un unico corpo. Tutto questo richiede la promozione a tutti i livelli, da quello economico a quello spirituale, culturale e politico, di tutti i popoli, antichi e nuovi, della terra; esige, in particolare, una tale strutturazione del sistema economico da permettere di fondare saldamente sul lavoro la comune società dei popoli e delle nazioni: una città nuova attorno alla fonte antica, come disse papa Giovanni XXIII. L'albero su cui questo messaggio fiorisce è davvero ben radicato, afferma La Pira, sale dalle radici più profonde della civiltà cristiana e umana di Firenze, porta i nomi di Dante, del Beato Angelico, di Leonardo, di Michelangelo e del Savonarola. A queste radici del passato si sono aggiunte le altre grandi radici del presente: quelle degli uomini più qualificati della Resistenza fiorentina, che dissero no al fascismo e al nazismo e che con il loro sacrificio contribuirono in larga misura alla fine di un tristissimo periodo di odio e di guerra ed all'inizio di questa nuova epoca carica, malgrado tutto, di fraternità, di comprensione e di pace. Il dialogo interreligioso Giorgio La Pira iniziò il dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani nell'ambito dei "Convegni per la pace e la civiltà cristiana", che promosse a Firenze dal 1952 al 1956. Il crocevia dei sentieri dei popoli mediterranei partiva da Gerusalemme, la città santa di tutte e tre le famiglie discese da Abramo6. Nell'introdurre il III "Colloquio mediterraneo" del 1961, La Pira ricordò che l'idea dei colloqui si precisò in lui nel Natale 1957 mentre era in pellegrinaggio in Palestina ad Hebron, presso la tomba del Patriarca, di Abramo, padre della triplice famiglia dei credenti: Israele, la Cristianità, l'Islam. Egli si rendeva ben conto che il Mediterraneo da fossato quale era per diventare un grande lago di Tiberiade avrebbe dovuto abolire tutte le ragioni conflittuali, da quelle economiche a quelle politiche. Occorreva fare leva sulla fede nel medesimo Dio, con quel ricco tessuto di implicazioni etniche e sociali che aveva dispiegato lungo la storia. La struttura capace di annullare tutte le cause di divisione era, per La Pira, "la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo, il patriarca dei credenti, la radice soprannaturale comune". Il patto di Alleanza con il Dio vivente, con il Dio di Abramo, di Isacco, di Israele e di Giacobbe, costituisce la genesi, il polo di orientamento e l'asse di sviluppo del popolo; della nazione e della civiltà di Israele e dei popoli, delle nazioni e della civiltà cristiana e araba. Il tempio, la cattedrale e la moschea costituiscono l'asse attorno al quale si edificano i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l'intero 'spazio di Abramo'. A questa componente teologale La Pira ne aggiungeva altre due: quella metafisica, elaborata dai Greci e dagli Arabi e quella giuridica definita da Roma. Ma nella sua costante e tenace azione per un'intesa tra le nazioni dello specchio del Mediterraneo, la componente più importante restava la prima, in frontale contrapposizione all'ateismo pratico del capitalismo e a quello ideologico del Marxismo. Questa immersione nelle profondità della cultura mediterranea non era per lui una fuga mistica dal presente, né poteva appagarsi di un anacronistico ritorno al passato: era la condizione stessa della pace nel mondo, dato che l'unità dei popoli della terra non è concepibile senza l'universalità delle tre grandi famiglie monoteistiche7. A rendere improrogabile questa scelta era la condizione apocalittica inaugurata nell'era atomica. Il disegno architettonico era semplice, dichiarava La Pira: si trattava di convocare a Firenze i popoli mediterranei, di farli incontrare in Santa Croce nel ricordo di San Francesco e nella sua azione di pace svolta nel 1210 con il Sultano, ed iniziare a Firenze, nell'occasione di questo incontro, quel negoziato di pace destinato a dare unità a tutti i popoli mediterranei, membri dell'unica famiglia abramitica e destinati a dare un nuovo essenziale apporto alla nuova civiltà del mondo. Questa esperienza fiorentina fu per La Pira un "progetto operativo" che si articolava in tre parti strettamente collegate tra di loro: la prima riguardava la presente età apocalittica e nucleare della storia del mondo; la seconda considerava la finalità, la "teleologia" della storia in generale; la terza si riferiva specificamente alla storia mediterranea, dei popoli membri della comune famiglia del Patriarca Abramo. E qui entra in campo quello che La Pira chiama il "sentiero di Isaia". La storia universale è paragonata a un grande fiume che, nonostante le sue anse e i suoi percorsi tortuosi, sotto la spinta della forza soprannaturale della Grazia, va verso la foce dell'unità dei popoli. Il fiume storico dell'utopia profetica di Isaia costituisce, come rilevò anche Paolo VI, l'autentico realismo della storia. A questo finalismo oggi non c'è alternativa se non la distruzione apocalittica del genere umano. Osserva La Pira: tutta la storiografia biblica - Antico e Nuovo Testamento - e anche la tradizione del Corano, sono animati da questa invincibile speranza. Una speranza che si radica in Abramo, che percorre tutta la storia di Israele e di Ismaele, che attraverso i Patriarchi, Mosè e i Profeti, perviene fino al Cristo risorto, sino al termine dei secoli. Questa nuovissima "età finale" della storia - età nucleare ed età apocalittica - va vista ed interpretata in funzione del sentiero di Isaia e del moto messianico di speranza della storia del mondo. A questo punto si specifica la storia dei popoli mediterranei; una storia estremamente complessa, drammatica e contraddittoria. Ma salendo dal comune ceppo l'albero della triplice famiglia monoteistica - ebrei, cristiani, musulmani - si è profondamente radicato presso tutti i popoli mediterranei e da essi si è esteso su tutti i popoli e su tutte le civiltà. Perciò questi popoli mediterranei, anche se con lacerazioni e contrasti, hanno un fondo storico comune. L'azione di Giorgio La Pira ebbe una duplice valenza: politica e profetica. Ciò significa che egli si fece portatore di idee, ma anche e soprattutto di opere e di iniziative. Il suo campo privilegiato fu l'incontro fraterno tra i diversi credenti dello stesso Dio e questo anelito inter-religioso nasceva da una straordinaria e, nello stesso tempo, semplice e cristallina fede cristiana. Era la sua una adesione profonda al messaggio evangelico nelle sue radici bibliche e nella sua universalità; in questo senso il suo cattolicesimo ecumenico lo portava naturaliter ad aprirsi agli altri fratelli di fede, con particolare predilezione a chi credeva in modo diverso allo stesso Signore e allo stesso Padre. Ed in questo campo Giorgio La Pira si cimentò non solo con profonde riflessioni teologiche, ma soprattutto con iniziative e con clamorosi incontri in momenti difficili, e in un certo senso impossibili, della storia, se questa è vista senza la prospettiva della speranza profetica. La Pira visse in maniera straordinaria questa esperienza di uomo politico e uomo di fede; operò ad ogni livello, soprattutto nella vita contemplativa, ma ugualmente nell'impegno sociale e politico, con la predilezione per i poveri, per le vittime della guerra e della sofferenza. E seppe in modo singolarissimo associare i luoghi di preghiera e di meditazione ai suoi incontri con i potenti della terra, nella sua infaticabile opera tesa a salvare la pace nei momenti più drammatici della guerra fredda. "La pace mediterranea diventerà davvero come una misteriosa, divina pietra filosofale che trasforma in oro tutto quello che tocca. Ed una grande civiltà, la nuova civiltà del mondo, avrebbe nel Mediterraneo il suo fondamento ed il suo grande punto di genesi. E' un sogno? E' vero: ma questa età apocalittica in cui viviamo e nel cui interno sempre più ci inoltriamo è, appunto, l'età dell'utopia, l'età in cui l'utopia diventa storia ed il sogno realtà". Il mondo "profano", cioè il mondo specificatamente umano, il mondo che si edifica attraverso la vita tecnica, economica, sociale, politica e culturale, questo mondo è, in certo modo, il mondo dell'azione, dell'attività esterna, del dinamismo incessante, domanda spesso inconsapevolmente, una cosa sola: l'acqua della grazia, la dolcezza sperimentata dal silenzio, le vitali fruizioni della solitudine, i frutti soavissimi dell'orazione, le delicate e virginali purità della luce interiore. Questo mondo così attivo chiede, senza averne spesso consapevolezza, il riposo della contemplazione, il corroborante "sonno" della fruizione di Dio; esso domanda di costruirsi per trovare saldezza e fecondità sulla roccia dell'orazione (...)6. Silenzio e politica La politica è concepita da La Pira nel senso più alto del termine, politica: cioè azione per il bene comune della pòlis, della città. Il compito dell'amministratore politico è quello di garantire a tutti pane, lavoro, casa: E' questa una premessa che gli uomini politici devono tenere ferma nella loro mente: stella polare della loro azione politica, giuridica, economica, finanziaria, dar lavoro a tutti, dare il pane quotidiano a tutti: sopra queste finalità prime, improrogabili, elementari, deve essere costruito l'intero edificio dell'economia, della finanza, della politica, della cultura: la libertà medesima, respiro della persona, è in certo modo preceduta e condizionata da queste primordiali esigenze del lavoro e del pane. Se la piena occupazione non viene conquistata e mantenuta, le libertà non saranno sicure, perché per molti esse non avranno abbastanza valore7. La politica è dunque il compito più alto, ma anche più difficile, di servizio verso il prossimo. Un percorso difficile quello dell'uomo impegnato nella politica, ma proprio in virtù di questo, carico di un profondo valore. Da ciò consegue che la responsabilità del politico è individuale e sempre maggiore in misura del compito e del ruolo sostenuto. Al convegno dei Giuristi cattolici del 1951, La Pira afferma: (...) E dico: "quando il Signore, amico mio, ti chiamerà... Lei signor La Pira, lei che cosa ha fatto?". Io gli devo rispondere: di quando ero studente, secondo quel che ero da studente; di quando fui professore, secondo quel che fui da professore. E sempre in relazione a quel metro. Prendo il metro e misuro (...). E' un punto drammatico! Evidentemente, se ho dato un qualche lira ad un mio fratello, risponderò di quella lira, ma a grado a grado che sale la funzione sale la responsabilità. Quindi: che cosa hai fatto in quanto membro della Costituente per risolvere un certo problema? Che cosa hai fatto in quanto membro del Governo? Che cosa hai fatto come sindaco di Firenze?8 Giuseppe Lazzati in un intervista televisiva commentava così l'operato di La Pira: (...) perché non è che nonostante le cose che faceva e questi impegni duri e forti egli poteva cercare Dio, ma è attraverso quelle cose che cercava Dio, lo cercava facendo il parlamentare, il sindaco e via dicendo, perché Dio è vero, è un Dio nascosto: "intus habitat veritas" la verità abita dentro, ma quando uno la porta dentro ha la possibilità di riconoscerlo nelle cose che fa tanto più quanto più sa fare quelle cose per amore, e ove si lavori per amore, quale che sia l'attività a cui ci si dedica, se si fa per amore dentro ci si trova Dio9. Il pensiero lapiriano si rivela particolarmente attuale ed appassionante per quanto riguarda la questione sul metodo dell'azione politica. In una lettera datata 1958 egli scrive: La sola metodologia di vittoria è la rinuncia a se stessi, il distacco radicale dalla propria piccola sfera, l'apertura (come conseguenza di questo distacco e di questo taglio) alla sfera mondiale di Dio: gli strumenti che suggerisce l'ambizione, la colpa, la meschinità, sono strumenti radicalmente privi di efficacia politica. E' proprio il discorso sul metodo quello che va fatto in questo periodo storico di così eccezionale portata per i cristiani e per tutti10. Giuseppe Dossetti, commentando questo scritto di La Pira a dieci anni dalla sua morte, ricorda: Ed è proprio di questo metodo che La Pira è stato, al di là di ogni altra cosa, maestro lucidissimo e incomparabilmente coerente. Queste parole, se erano attuali dieci anni fa, sono attualissime oggi, e vanno ricordate con forza a chiunque dicendosi cristiano pretenda di operare nel sociale. Vanno, direi, ricordate con una forza veramente implacabile a tutte le sigle, vecchie e nuove, che pretendono di agire nel seno e per il bene della Chiesa, perché non accada, come purtroppo talvolta si ha seria ragione di sospettare, che, invece di servire per il bene di tutti, vogliano solo, anche senza rendersene conto, conquistare potere nella società e nella Chiesa11.